La libertà è il tema
fondamentale dell’indagine sull’uomo di Dostoevskij, attraverso di essa si può
comprendere la sua concezione. Il centro della sua filosofia è la libertà che
egli considera come condizione indispensabile per conseguire la salvezza ed è
ciò che determina il destino dell’uomo e la sua esistenza. La libertà comporta
per gli uomini una responsabilità enorme e può provocare dolore e sofferenza,
però Dostoevskij, sebbene indaghi situazioni in cui l’uomo si trova senza libertà,
non intende alleggerirlo di questo peso. Egli vuole studiare il destino
dell’uomo libero, infatti tutte le sue opere riguardano la libertà esperita
dagli uomini. La concezione antropologica nella quale Dostoevskij si imbatte è
condizionata dalle tre correnti di pensiero che risultavano dominanti. In primo
luogo la concezione illuministica secondo la quale l’uomo, per la sua natura positiva,
se utilizza la ragione, applicandola alla realtà in maniera corretta, può
conseguire l’armonia universale. Quindi gli uomini, se si affidano alla forza
della loro ragione, risultano essere buoni. La seconda concezione nella quale
Dostoevskij si imbatte è quella romantica, che nonostante assista al fallimento
dell’Illuminismo, ne approva l’ottimismo, anche se lo considera non più nella
ragione, ma nel sentimento dell’uomo. Secondo i romantici è attraverso il
sentimento che si attua l’incontro tra finito e infinito e gli uomini possono
cogliere la pienezza della loro esistenza.
L’ultima corrente di
pensiero che dobbiamo considerare è quella del naturalismo deterministico
secondo cui l’uomo è definito solamente dalle sue condizioni materiali, viene
ritenuto un insieme di materia, che attraverso l’evoluzione riuscirà ad
arrivare alla sua liberazione. Secondo Dostoevskij queste concezioni pongono
nei confronti dell’uomo come un muro di pietra che lo blocca e che non riesce
ad oltrepassare. Per questo motivo l’autore russo critica, attraverso i suoi
scritti, le teorie che emergono da tali correnti di pensiero. Nelle Memorie dal sottosuolo scrive infatti:
<<Ma quale muro di pietra? Ma naturalmente le leggi di natura, le
deduzioni delle scienze naturali, la matematica. Quando ti dimostrano, per
esempio, che tu discendi dalla scimmia, beh, c’è poco da accigliarsi, devi
accettare il fatto com’è. Se ti dimostrano che una sola goccia del tuo grasso
dev’esserti più cara di centomila tuoi simili, e che in questa conclusione si
risolvono alla fine tutte le cosiddette virtù, i doveri e tutte le altre
chimere e pregiudizi, ebbene bisogna che accetti il risultato della
dimostrazione, giacché non c’è niente da fare, due più due fa quattro, questa è
matematica. Provatevi un po’ a replicare[1]>>.
Secondo Dostoevskij l’animo
umano è immenso e non lo si può ricondurre alla semplice razionalità, sarebbe
una riduzione semplicistica e inadeguata. Egli protesta contro questa
concezione, perché dice che l’esistenza degli uomini è complessa ed enigmatica,
quindi non si può avere la pretesa di condurla interamente sotto il controllo
della ragione. Il sentimento che ha di sé lo porta a queste conclusioni. Egli è
convinto che l’uomo non possa essere considerato come una semplice parte di un
“macchinario razionale” e la convivenza tra gli uomini non debba essere ridotta
ad un “formicaio brulicante”. Dostoevskij sostiene che la grandezza dell’uomo
non consente di ridurre la sua esistenza ad una semplice misura razionalistica.
Secondo l’autore russo è nella profondità dell’uomo che bisogna cercare il suo
vero ed autentico significato. Egli introduce appunto la dimensione della
profondità perché l’intelligenza euclidea, che si limitava a considerare
lunghezza, larghezza ed altezza, non risultava essere in grado di comprendere
la grandezza dell’esistenza umana. L’animo umano nella sua profondità è
articolato e complesso e Dostoevskij decide di indagarlo. La natura umana,
nella sua profondità, non può essere razionale; in ogni uomo vi è infatti
l’esigenza della libertà sconfinata e senza limiti. È nella profondità
dell’essere umano che ci imbattiamo nella questione della libertà e secondo
Dostoevskij questa è l’esigenza ed il reale interesse della nostra esistenza.
Egli intende protestare contro ogni corrente di pensiero che pretende di
risolvere il problema dell’esistenza umana tramite il benessere universale; per
fare ciò vuole porre all’attenzione il fatto che la natura dell’uomo risulta
incommensurabile. Sempre nelle Memorie
dal sottosuolo scrive: <<Ecco, io, per esempio, non mi stupirei
affatto se all’improvviso, senza dire né a né ba, in mezzo alla futura,
universale ragionevolezza, spuntasse fuori un gentleman con una fisionomia
spregevole, o per meglio dire retrograda e beffarda, si mettesse le mani sui fianchi
e dicesse a tutti noi: “Allora, signori, non è il caso, una buona volta, di
prendere a calci tutta questa ragionevolezza, di mandarla in frantumi,
unicamente con lo scopo di mandare al diavolo i logaritmi e di tornare a vivere
secondo la nostra stupida volontà?”[2]>>
Quindi per Dostoevskij il problema della libertà si trova nella profondità di
ogni essere umano. Egli scrive anche che <<[…] l’uomo, sempre e ovunque,
chiunque esso sia, ama agire come vuole e non come consigliano la ragione e
l’interesse; perché si può volere anche ciò che è contrario al proprio
vantaggio ma a volte è positivamente
indispensabile (almeno così la penso io). La propria personale, libera,
indipendente volontà, il proprio capriccio foss’anche il più grossolano, la
propria fantasia a volte esasperata fino ai limiti dalla pazzia, ecco cos’è
quel vantaggio più vantaggioso, trascurato, che non rientra in alcuna
classificazione e per il quale tutti i sistemi e le teorie se ne vanno costantemente al diavolo[3]>>.
Egli considera vane tutte le teorie e le culture che intendono dare una
spiegazione razionalistica dell’esistenza per il fatto che vi è la libertà.
Sostiene infatti che l’uomo per salvaguardare la sua libertà sarebbe pronto a
dire che il risultato dell’addizione due più due non è quattro, bensì cinque.
Secondo Dostoevskij la libertà nell’esistenza umana può assumere differenti
figure e ora cercheremo di presentare ed analizzare brevemente queste varie
tipologie. Innanzitutto per Dostoevskij nell’esistenza umana la libertà si deve
intendere come gioco. L’uomo infatti se vuole essere libero deve lanciare una
sorta di sfida al destino, non può sottomettersi ad un’esistenza intesa come
regola. La libertà porta l’uomo a mettere in gioco la sua vita, a rischiare. La
sua esistenza non può più essere considerata come già determinata, ma risulta
qualcosa di irrazionale, qualcosa per cui occorre mettersi in gioco. L’uomo non
vuole essere controllato e tutelato da nessuno, vuole una libertà illimitata,
non può accettare che altri prendano decisioni per conto suo e controllino la
sua esistenza. Nel romanzo Il giocatore scrive
infatti: <<Desidero soltanto chiarire l’infondatezza della supposizione
per me offensiva, che io mi trovi sotto la tutela di qualcuno che potrebbe
esercitare un potere su di me, limitando la mia libertà.[4]>> Vi è poi la libertà intesa come trasgressione.
L’uomo si domanda se per essere libero debba obbedire a delle leggi morali
insite nell’animo. Raskolnikov, personaggio principale di Delitto e castigo,
si pone questo interrogativo: <<Io credo solo nel mio pensiero
fondamentale. Esso consiste precisamente in ciò, che gli uomini, per legge di
natura, si dividono, in generale, in
due categorie: quella inferiore (gli uomini comuni),
cioè, per dir così, il materiale che serve unicamente per la procreazione di
altri esseri simili a sé, e gli uomini veri e propri, aventi cioè il dono o la
capacità di dire nel loro ambiente una parola
nuova. Le suddivisioni, s’intende, qui sono infinite, ma i tratti
distintivi delle due categorie abbastanza netti: la prima categoria, cioè il
materiale, generalmente parlando, sono uomini per natura loro conservatori,
posati, che vivono nell’obbedienza e amano ubbidire. Secondo me, hanno anche
l’obbligo di ubbidire, perché questa è la loro missione, e in ciò non v’è per
loro proprio nulla di umiliante. Quelli della seconda categoria trasgrediscono
tutti la legge, sono sovvertitori, o inclini a esserlo, a giudicare dalle loro
attitudini.[5]>>
Bisogna provare a comprendere se Raskolnikov possa oltrepassare il limite
imposto agli uomini dalla legge morale che sembra bloccare e soffocare la
libertà. Raskolnikov decide di uccidere la vecchia usuraia e, per un errore del suo
piano d’azione, anche la sorella Lisaveta, per dimostrare che la sua libertà
può abbattere e superare i limiti imposti dalla legge morale. Egli infatti
sostiene di non aver ucciso una persona bensì un principio. Perpetrando il
delitto della vecchia usuraia intendeva porsi al di là del bene e del male, ma
non riuscirà nel suo intento. Dice infatti di aver voluto scavalcare la legge
morale, ma di non esserci riuscito e di sentirsi come un pidocchio. Per Givone
Raskolnikov è un esempio di uomo del sottosuolo: <<Se le cose stanno
così, allora bisogna dire che l’anonimo uomo del sottosuolo avrà subito un
nome, e questo nome sarà Raskol’nikov.[6]>>
Nel suo profondo abita un’idea dotata di una forza micidiale. Egli vuole
giustificare l’assassinio dicendo che l’ha perpetrato per fini superiori;
sostiene che sia stato giusto uccidere la vecchia usuraia poiché la sua vita
era inutile e dannosa per le altre persone e anche perché il denaro che le
apparteneva poteva essere messo a disposizione di chi ne aveva più bisogno.
Quest’idea di Raskolnikov intende far emergere l’uomo superiore, terribilmente
diabolico, che era nascosto nel sottosuolo. Egli crede nella giustezza della
sua idea, non prova nessun pentimento dopo aver ucciso l’usuraia perché
sostiene di essere autorizzato. Raskolnikov non condanna se stesso, però nei
suoi sogni gli è concessa la possibilità di riconoscere la profonda falsità che
si nasconde nella sua persona e nelle sue teorie. La vicenda di Raskolnikov
vuole mostrare gli esiti catastrofici a cui giunge la morale utilitaria. La libertà
realizzata in questa maniera porta alla distruzione di sé e ad essere ridotti a
infimi parassiti della vita.
Secondo Dostoevskij la
libertà si realizza anche come rifiuto. Chi rappresenta questa figura della
libertà è Ippolit, personaggio dell’opera dostevskijana l’Idiota. Egli è
un giovane tisico giunto ormai agli ultimi momenti della sua vita. Ammette ogni
cosa, la malattia, Dio, la vita eterna, ma si rifiuta di accettarle. La libertà,
nel personaggio di Ippolit diventa luogo della riserva del proprio assenso. Ammette
il fatto che ci sia la vita e che lui debba soffrire, ma dice anche che avrà
sempre un sospetto ed una resistenza verso ciò che esiste. <<Egli non
esclude affatto che dietro il feroce disordine della vita si celi una legge
armonica di sviluppo; né esclude l’armonia finale del nascere e del morire, che
si sprigioni dallo stesso contrasto come da una sua fonte inesauribile e si
risolva già da sempre in conciliazione, visione, bellezza. Semplicemente,
questa bellezza egli la rifiuta.[7]>>
Sostiene che vuole difendere la sua libertà mantenendo la riserva della sua
accettazione nei confronti di ciò che esiste.
Arriviamo ora a presentare
la libertà intesa come ribellione o rivolta. Rappresentante di questa tipologia
di libertà è indiscutibilmente il personaggio di Ivàn Karamazov. Egli si domanda come l’uomo possa essere libero se
esiste il male e in che modo questo possa essere accettato quando riguarda le
creature innocenti. Ivàn dice di non
poter accettare questo mondo. Ippolit, anche se non dava l’assenso, accettava
questo mondo, mentre Ivàn espone una
tesi più drastica in quanto dice di non poter accettare il mondo creato in
questo modo da Dio. Secondo Givone uno dei momenti che scandiscono il
nichilismo di Ivàn è la ribellione
contro l’ordine metafisico che si manifesta attraverso la denuncia dello
scandalo del male come dimostrazione dell’assurdità del mondo. <<Ciò che
Ivan non accetta è di unirsi al coro; egli preferisce restare dalla parte della
“sofferenza invendicata” – la sofferenza dei bambini, in particolare, spesso
oggetto di sevizie gratuite e perverse – perché quella sofferenza non può e non deve servire ad essere piegata ad altro, sia pure a un’armonia
che la fagociti in un’eternità di redenzione.[8]>>
Egli, con la sua intelligenza euclidea,
non può accettare il male e non può accettare il fatto che questo possa servire
per ottenere un bene futuro, un’armonia finale. Questa forma di ribellione
conduce Ivàn a vedere nel padre Fëdor il simbolo di questa ingiustizia
che non ha diritto e dignità di esistere. Egli così ispira al fratellastro Smerdjakov, un giovane con problemi
psichici, l’assassinio del padre. La colpa di questo crimine viene attribuita
all’altro fratello, Dimitrij. Durante
il processo a Dimitrij, Ivàn si alza in piedi e domanda se possa esistere
qualcuno che non desideri la morte del proprio padre. Queste parole sono
emblematiche in quanto Ivàn, che non
accetta più questo mondo, sostiene che per rivendicare la loro libertà, gli
uomini devono arrivare a negare chi ha creato tutto, quindi a negare Dio. La
scomparsa di Dio vuole significare che ogni cosa è permessa all’uomo, così egli
riuscirà a lottare con le sue forze contro il male senza più alcuna regola
imposta, se non quella della propria libertà. Inoltre
la libertà può essere intesa come puro arbitrio. La figura che rappresenta
questa libertà nelle opere di Dostoevskij è Kirillov,
un personaggio del romanzo I Demoni.
Egli non crede più in Dio e sente la necessità di trovare un valore assoluto
che lo possa sostituire. Questo
valore assoluto lo individua nell’uomo stesso. Sostiene infatti che se Dio non
c’è, allora l’uomo è Dio. Viene proposta quindi la teoria dell’uomo-Dio,
l’umanità viene divinizzata. Egli dice che l’arbitrio è l’attributo
fondamentale della divinità dell’uomo, la libertà illimitata è quindi
indispensabile per l’uomo-Dio. <<La vita è dolore, la vita è paura, e
l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura: l’uomo ama la vita, perché ama
il dolore e la paura. Lo hanno fatto così. La vita viene
concessa a prezzo di dolore e di paura,
e qui sta tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo che dovrà essere.
Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. Quello al quale sarà indifferente
vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà
Dio. E l’altro Dio non vi sarà più.[9]>>
Per Kirillov l’uomo deve diventare
indifferente alla morte e deve considerarla equivalente alla vita, solo in
questo modo non avrà più paura di suicidarsi perché è riuscito a comprendere
che né vita né morte contano davvero rispetto alla sua libertà. Kirillov arriva ad elaborare questa teoria
drastica che lo porterà all’annullamento della propria persona. Per trasformare l’umanità, la quale riesce ad
ottenere la sua divinità ed è assolutamente libera attraverso l’arbitrio, ci si
deve suicidare, perché solamente uccidendosi gli uomini superano ogni limite.
Dobbiamo poi considerare anche la libertà come
negazione. Questa tipologia viene rappresentata dal personaggio principale de I Demoni, ovvero Stavrogin. Nel romanzo è il tentatore per eccellenza, può essere
inteso come il “serpente primordiale” che tenta tutta l’umanità. Egli vuole
portare, attraverso le sue azioni e le sue tentazioni, tutti gli altri
personaggi alla distruzione. Per Stavrogin
non hanno più valore il bene ed il male, gli interessa solo l’essere o il
non essere, la vita o la distruzione. Stavrogin
si sente attratto dalle situazioni umilianti e ridicole perché in queste,
oltre ad un grande sdegno, trova anche un incredibile piacere. Questo è dovuto
al suo radicale indifferentismo etico, che ponendosi al di là del bene e del
male, conduce la sua vita nella noia più terribile. La sua libertà, che non
considera più il bene ed il male, lo conduce verso la noia e l’apatia che lo
soffocano e lo distruggono portandolo al suicidio con il quale fa terminare nel
nulla un’esistenza contrassegnata completamente dal nulla. Queste figure della
libertà che ho cercato di presentare si consumano trasformandosi nel loro
opposto. Berdjaev scrive che <<Dostoevskij mostra appunto questo tragico
destino della libertà nel destino dei suoi eroi. La libertà trascende in
arbitrio, in una ribelle autoaffermazione dell’uomo. La libertà diviene priva
di contenuto, vana, essa svuota l’uomo. Priva di contenuto e vana è la libertà
di Stavrogin e di Versilov, e la libertà di Svidrigailov e di Fёdor Pavlovic
Karamazov dissolve la personalità. Porta al delitto la libertà di Raskol’nikov
e di Ivan Karamazov. La libertà come arbitrio annienta se stessa, trapassa nel
suo opposto, dissolve e perde l’uomo. Con un’interna fatalità immanente simile
libertà porta alla schiavitù, dissolve l’immagine dell’uomo[10].>>
La libertà diventa schiavitù e consuma l’esistenza umana quando l’uomo non accetta
di riconoscere alcunché di più alto di sé. Infatti se non vi è nulla che sia
superiore all’uomo, allora non c’è neppure l’uomo, se non sussiste alcun legame
fra libertà umana e quella divina, allora non c’è nemmeno la libertà. Se ogni
cosa è permessa agli uomini la libertà umana diventa schiavitù di sé.
<<La libertà umana raggiunge la sua espressione definitiva nella libertà
suprema che è libertà sulla Verità. Tale è la dialettica irrefutabile della
libertà. Essa porta alla via del Dio-uomo. Nel concetto del Dio uomo la libertà
umana si unisce a quella divina, l’immagine umana all’immagine divina. Con
un’interiore esperienza della libertà si consegue la luce della Verità. Né può
esservi ritorno al dominio esclusivo della legge esteriore, alla legge della
necessità e della costrizione[11].>>
Dostoevskij sostiene che ci
possa essere la libertà di scegliere il bene o il male e la libertà nel bene. Egli
ritiene che non si possa imporre agli uomini il bene. Il bene non deve essere
forzato, deve essere conseguenza della libertà. Il bene libero presuppone la
libertà del male. <<La libertà del male porta alla distruzione della
libertà stessa, alla degenerazione in una necessità cattiva. La negazione della
libertà del male e l’affermazione dell’esclusiva libertà del bene porta pure
alla negazione della libertà, alla degenerazione della libertà in una necessità
buona. Ma la necessità buona non è più un bene, giacchè il bene presuppone la
libertà[12].>>
La Verità rende infatti l’uomo libero, ma la Verità deve essere accettata
dall’uomo liberamente, non lo si può costringere o condurre con la forza ad
essa. Cristo ha donato agli uomini la libertà, ma essi devono accettare Cristo
in maniera libera. Questa accettazione libera rappresenta la dignità dell’uomo
e del suo atto di fede ed è ciò che rende davvero liberi gli uomini. Questa
però non è una strada semplice, passa attraverso le tenebre, lo sdoppiamento e
la tragedia e porta l’uomo a conoscere il bene, ma anche il male. <<La
via della libertà è la via dell’uomo nuovo del mondo cristiano. L’uomo
dell’antichità classica e l’uomo dell’antico Oriente ignoravano questa libertà,
erano inchiodati alla necessità, all’ordine naturale, sottomessi al fato. Solo
il cristianesimo ha dato all’uomo questa libertà, la prima libertà e l’ultima. Nel cristianesimo si è rivelata non solo
la libertà del secondo Adamo, apparsa una seconda volta nello spirito
dell’uomo, ma anche la libertà del primo Adamo, non solo la libertà del bene,
ma anche la libertà del male[13].>>
Secondo Pareyson la concezione filosofica di Dostoevskij è tragica perché
considera la vita dell’uomo sotto l’insegna della lotta tra bene e male,
infatti: <<Il male non ha un’esistenza propria, ma ha un’esistenza
necessariamente parassitaria, perché esso non può sussistere se non
appoggiandosi alla realtà esistente, cioè alla realtà dell’uomo.[14]>>
La strada che porta al bene conduce gli uomini alla possibilità di esperire
anche il male. <<Questa dialettica tra bene e male si fonda
sull’esperienza della libertà, infatti il male, il peccato, la colpa non sono
l’incapacità umana di persistere e perseverare nel bene, ma sono
l’instaurazione positiva di una realtà negativa, cioè il frutto d’una volontà diabolica intelligente e
consapevole di se stessa, e la decisione di una libertà illimitata desiderosa di affermazione di là da ogni legge e
da ogni norma. Il male è prodotto dalla volontà e dalla libertà dell’uomo, che
scientemente e deliberatamente commette l’azione malvagia […][15]>>
Anche il carattere dialettico del bene trova il suo vero significato attraverso
l’esperienza della libertà. Il suo valore sta nella consapevolezza che il male
è possibile e che non risulta, quindi, indispensabile per la sua realizzazione.
<<Il male è la via tragica dell’uomo, il destino dell’uomo, la prova
della libertà umana. Ma il male non è un momento necessario nell’evoluzione del
bene.[16]>>
La libertà presuppone l’infinito e per l’uomo
del mondo cristiano l’infinito non è solo il caos, ma anche libertà, mentre
secondo l’uomo dell’antichità classica l’infinito era solamente il caos. La
libertà ribelle che Dostoevskij attribuisce ai suoi personaggi rappresenta un
nuovo momento della storia dell’uomo nel mondo cristiano. L’autore russo
intende passare da una comprensione del cristianesimo solamente astratta ad una
più concreta. Egli intende indagare le profondità dell’animo umano perché solo
così si può trovare la libertà dell’uomo cristiano. I personaggi dei romanzi di
Dostoevskij conducono la loro esistenza sempre in bilico tra il bene ed il male,
tutto è collegato alle scelte che sono chiamati a prendere liberamente. Essi si
trovano sempre impegnati a risolvere situazioni problematiche e a riflettere su
queste, vivono perennemente in una condizione di tensione dovuta alla presenza
della libertà. La tensione della libertà è presente in ogni istante della loro
esistenza, devono sempre fare i conti con questa.
L’uomo per lo più non riesce a sostenere il
dramma della libertà e a causa di questa tensione si sdoppia. Gli uomini non
sono in grado di sopportare il peso delle decisioni per l’esistenza.
Dostoevskij, attraverso i suoi personaggi, ci propone sia uno sdoppiamento
psicologico, per esempio Raskolnikov che vede se stesso attraverso il sogno,
sia uno sdoppiamento morale, come se un’altra persona si mettesse di fianco a
noi e facesse, pensasse e desiderasse ciò che noi vorremmo, ma non possediamo
la libertà morale di fare; ciò accade ad Ivàn
Karamazov quando, in un incubo, incontra il demonio, che in realtà è se
stesso, e questo demonio conduce alle estreme conseguenze ciò che la paura
dell’esistenza impedisce a Ivàn di
attuare. Dostoevskij era però anche convinto che senza la libertà del peccato e
del male non può essere accettata l’armonia universale. Egli sostiene che la libertà
dell’uomo deve essere preposta a questa armonia, non deve essere un’armonia
forzata. L’uomo non può accogliere la libertà per il bene se proviene da un
ordine o da una costrizione. L’armonia universale deve essere attuata dall’uomo
attraverso la libertà del suo spirito, deve essere respinto ogni ordine
forzato. <<Questa fede riposa sulla libertà della coscienza umana. “Il
mio Osanna è passato attraverso il crogiolo dei dubbi”, scrive Dostoevskij di
se stesso. E avrebbe voluto che ogni fede si temprasse nel crogiolo dei dubbi.
Dostoevskij è stato, probabilmente, il difensore più appassionato della libertà
di coscienza che il mondo cristiano abbia conosciuto[17].>>
Dostoevskij considera la negazione della libertà dello spirito come una
violenza perpetrata nei confronti della coscienza umana e questa rappresenta il
principio dell’anticristo. Gli uomini devono trovare nella profondità del loro
spirito la forza libera per riconoscere in Cristo il figlio di Dio. Questa
libertà dello spirito umano è negata dagli uomini che hanno deciso di
percorrere la strada dell’arbitrio. <<Chi ha intrapreso la strada
dell’arbitrio e dell’autoaffermazione, chi ha diretto la sua libertà contro
Dio, non può conservare la libertà, e fatalmente giunge a calpestarla[18].>>
Per Dostoevskij il rapporto tra verità e libertà non si può sciogliere, in
quanto la loro definizione implica il reciproco riferimento. La libertà arriva
a distruggersi quando degenera in arbitrio e nega la verità dalla quale non si
può separare. La libertà intesa come arbitrio senza limiti, che si rivolta
contro Dio, conduce inesorabilmente ad un dispotismo illimitato, come era
quello del Grande Inquisitore nella Leggenda.
In questo modo vengono soppressi la verità di Cristo ed il senso della vita e
lo spirito umano viene portato ad un totale asservimento. Gli uomini agiscono
in questo modo perché non sono in grado di sostenere il fardello della libertà,
preferiscono rinunciare ad essa e affidarsi ad un’organizzazione forzata della
felicità nel mondo.
Dostoevskij era convinto che la vera
libertà è possibile solamente in Cristo, mentre l’arbitrio e la pretesa di una
felicità dell’umanità senza Dio portano alla distruzione della libertà e dello
spirito degli uomini. L’autore russo sostiene che chi si allontana da Dio
arriva inevitabilmente a negare la libertà perché <<La “mente euclidea” –
espressione amata da Dostoevskij – è impotente a conseguire l’idea di libertà,
questa le è inaccessibile, come mistero assolutamente irrazionale. La rivolta
della “mente euclidea” contro Dio è legata con la negazione della libertà, con
la sua incomprensione[19].>>
Senza libertà intesa come mistero della creazione questo mondo colmo di dolore
e sofferenza non può essere accettato e non può quindi essere accettato Dio in
quanto suo creatore. Qui si mostra la tragedia della libertà ribelle che ha
condotto l’uomo a negare la stessa idea di libertà e Dio. Si possono accettare
Dio e questo mondo solamente se si considera la libertà in modo tale che non
possa essere compresa razionalmente, come intende invece fare la ”mente
euclidea”. Solo ponendo questa libertà,
che non può essere compresa tramite la ragione, come base del creato, si
possono giustificare il male e la sofferenza che sono presenti in esso. Per
ottenere un mondo buono e felice, senza male e dolore, si dovrebbe eliminare la
libertà, ma in questo modo si priverebbe l’uomo ed il mondo della loro dignità.
<<La “mente euclidea” potrebbe costruire il mondo fondandolo unicamente
sulla necessità e questo sarebbe un mondo esclusivamente razionale. Tutto
l’irrazionale ne sarebbe eliminato. Ma il mondo di Dio non ha un senso che si
possa commisurare con la “mente euclidea”.[20]>>
La “mente euclidea”, che aveva cominciato la sua ribellione a partire dalla
libertà, intende terminare la sua azione costituendo un mondo fondato sulla
necessità e sul dispotismo illimitato. <<La dialettica della necessità
porta con sé l’eliminazione della distinzione fra il bene e il male, cioè
l’indifferenza che incarna il tenebroso Stavrogin. Il demone scettico, amorale,
non sente più il problema di Dio, anzi per la “tiepidezza” della sua anima
dannata è destinato a essere rigettato dalla bocca di Dio. Egli, infatti, in
quanto “tiepido”, è ugualmente lontano sia dall’ardore del credente che dalla
freddezza dell’ateo. Costoro pur proponendo soluzioni diametralmente opposte,
sentono entrambi il problema dell’esistenza di Dio. Consapevoli che tutta la
loro vita dipenda da questo, scelgono tra il credere e il non credere in Lui[21].>>
Secondo Dostoevskij, chi nega la libertà dello spirito arriva a negare anche
Dio, perché un mondo necessariamente buono e felice, in cui vi è un’armonia
forzata, risulta essere un mondo senza Dio, paragonabile ad un semplice
meccanismo razionale.
[2] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[3] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[4] Fёdor Dostoevskij, Il giocatore, Garzanti, Milano, 2012, p.
56
[5] Fёdor Dostoevskij, Delitto e castigo, BUR, Milano, 2010, p. 276
[6] Sergio Givone, Op. cit., p. 107
[7] Sergio Givone, Op cit., p. 79
[8] Sergio Givone, Op. cit., p. 142
[9] Fёdor Dostoevskij, I demoni, Einaudi, Torino, 2014, p. 220
[10] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[11] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[12] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 57
[13] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 54
[14] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 58
[15] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 153
[16]Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 71
[17] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 58
[18] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 62
[19] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 64
[20] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 65
[21] Francesca Volpe, Dostoevskij in Italia. Recenti
interpretazioni, Edizioni Albo Versorio, Milano, 2011, p. 94
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