giovedì 25 febbraio 2016

La libertà secondo Dostoevskij



         




La libertà è il tema fondamentale dell’indagine sull’uomo di Dostoevskij, attraverso di essa si può comprendere la sua concezione. Il centro della sua filosofia è la libertà che egli considera come condizione indispensabile per conseguire la salvezza ed è ciò che determina il destino dell’uomo e la sua esistenza. La libertà comporta per gli uomini una responsabilità enorme e può provocare dolore e sofferenza, però Dostoevskij, sebbene indaghi situazioni in cui l’uomo si trova senza libertà, non intende alleggerirlo di questo peso. Egli vuole studiare il destino dell’uomo libero, infatti tutte le sue opere riguardano la libertà esperita dagli uomini. La concezione antropologica nella quale Dostoevskij si imbatte è condizionata dalle tre correnti di pensiero che risultavano dominanti. In primo luogo la concezione illuministica secondo la quale l’uomo, per la sua natura positiva, se utilizza la ragione, applicandola alla realtà in maniera corretta, può conseguire l’armonia universale. Quindi gli uomini, se si affidano alla forza della loro ragione, risultano essere buoni. La seconda concezione nella quale Dostoevskij si imbatte è quella romantica, che nonostante assista al fallimento dell’Illuminismo, ne approva l’ottimismo, anche se lo considera non più nella ragione, ma nel sentimento dell’uomo. Secondo i romantici è attraverso il sentimento che si attua l’incontro tra finito e infinito e gli uomini possono cogliere la pienezza della loro esistenza.
L’ultima corrente di pensiero che dobbiamo considerare è quella del naturalismo deterministico secondo cui l’uomo è definito solamente dalle sue condizioni materiali, viene ritenuto un insieme di materia, che attraverso l’evoluzione riuscirà ad arrivare alla sua liberazione. Secondo Dostoevskij queste concezioni pongono nei confronti dell’uomo come un muro di pietra che lo blocca e che non riesce ad oltrepassare. Per questo motivo l’autore russo critica, attraverso i suoi scritti, le teorie che emergono da tali correnti di pensiero. Nelle Memorie dal sottosuolo scrive infatti: <<Ma quale muro di pietra? Ma naturalmente le leggi di natura, le deduzioni delle scienze naturali, la matematica. Quando ti dimostrano, per esempio, che tu discendi dalla scimmia, beh, c’è poco da accigliarsi, devi accettare il fatto com’è. Se ti dimostrano che una sola goccia del tuo grasso dev’esserti più cara di centomila tuoi simili, e che in questa conclusione si risolvono alla fine tutte le cosiddette virtù, i doveri e tutte le altre chimere e pregiudizi, ebbene bisogna che accetti il risultato della dimostrazione, giacché non c’è niente da fare, due più due fa quattro, questa è matematica. Provatevi un po’ a replicare[1]>>.
Secondo Dostoevskij l’animo umano è immenso e non lo si può ricondurre alla semplice razionalità, sarebbe una riduzione semplicistica e inadeguata. Egli protesta contro questa concezione, perché dice che l’esistenza degli uomini è complessa ed enigmatica, quindi non si può avere la pretesa di condurla interamente sotto il controllo della ragione. Il sentimento che ha di sé lo porta a queste conclusioni. Egli è convinto che l’uomo non possa essere considerato come una semplice parte di un “macchinario razionale” e la convivenza tra gli uomini non debba essere ridotta ad un “formicaio brulicante”. Dostoevskij sostiene che la grandezza dell’uomo non consente di ridurre la sua esistenza ad una semplice misura razionalistica. Secondo l’autore russo è nella profondità dell’uomo che bisogna cercare il suo vero ed autentico significato. Egli introduce appunto la dimensione della profondità perché l’intelligenza euclidea, che si limitava a considerare lunghezza, larghezza ed altezza, non risultava essere in grado di comprendere la grandezza dell’esistenza umana. L’animo umano nella sua profondità è articolato e complesso e Dostoevskij decide di indagarlo. La natura umana, nella sua profondità, non può essere razionale; in ogni uomo vi è infatti l’esigenza della libertà sconfinata e senza limiti. È nella profondità dell’essere umano che ci imbattiamo nella questione della libertà e secondo Dostoevskij questa è l’esigenza ed il reale interesse della nostra esistenza. Egli intende protestare contro ogni corrente di pensiero che pretende di risolvere il problema dell’esistenza umana tramite il benessere universale; per fare ciò vuole porre all’attenzione il fatto che la natura dell’uomo risulta incommensurabile. Sempre nelle Memorie dal sottosuolo scrive: <<Ecco, io, per esempio, non mi stupirei affatto se all’improvviso, senza dire né a né ba, in mezzo alla futura, universale ragionevolezza, spuntasse fuori un gentleman con una fisionomia spregevole, o per meglio dire retrograda e beffarda, si mettesse le mani sui fianchi e dicesse a tutti noi: “Allora, signori, non è il caso, una buona volta, di prendere a calci tutta questa ragionevolezza, di mandarla in frantumi, unicamente con lo scopo di mandare al diavolo i logaritmi e di tornare a vivere secondo la nostra stupida volontà?”[2]>> Quindi per Dostoevskij il problema della libertà si trova nella profondità di ogni essere umano. Egli scrive anche che <<[…] l’uomo, sempre e ovunque, chiunque esso sia, ama agire come vuole e non come consigliano la ragione e l’interesse; perché si può volere anche ciò che è contrario al proprio vantaggio ma a volte è positivamente indispensabile (almeno così la penso io). La propria personale, libera, indipendente volontà, il proprio capriccio foss’anche il più grossolano, la propria fantasia a volte esasperata fino ai limiti dalla pazzia, ecco cos’è quel vantaggio più vantaggioso, trascurato, che non rientra in alcuna classificazione e per il quale tutti i sistemi e  le teorie se ne vanno costantemente al diavolo[3]>>. Egli considera vane tutte le teorie e le culture che intendono dare una spiegazione razionalistica dell’esistenza per il fatto che vi è la libertà. Sostiene infatti che l’uomo per salvaguardare la sua libertà sarebbe pronto a dire che il risultato dell’addizione due più due non è quattro, bensì cinque. Secondo Dostoevskij la libertà nell’esistenza umana può assumere differenti figure e ora cercheremo di presentare ed analizzare brevemente queste varie tipologie. Innanzitutto per Dostoevskij nell’esistenza umana la libertà si deve intendere come gioco. L’uomo infatti se vuole essere libero deve lanciare una sorta di sfida al destino, non può sottomettersi ad un’esistenza intesa come regola. La libertà porta l’uomo a mettere in gioco la sua vita, a rischiare. La sua esistenza non può più essere considerata come già determinata, ma risulta qualcosa di irrazionale, qualcosa per cui occorre mettersi in gioco. L’uomo non vuole essere controllato e tutelato da nessuno, vuole una libertà illimitata, non può accettare che altri prendano decisioni per conto suo e controllino la sua esistenza. Nel romanzo Il giocatore scrive infatti: <<Desidero soltanto chiarire l’infondatezza della supposizione per me offensiva, che io mi trovi sotto la tutela di qualcuno che potrebbe esercitare un potere su di me, limitando la mia libertà.[4]>>                                       Vi è poi la libertà intesa come trasgressione. L’uomo si domanda se per essere libero debba obbedire a delle leggi morali insite nell’animo. Raskolnikov, personaggio principale di  Delitto e castigo, si pone questo interrogativo: <<Io credo solo nel mio pensiero fondamentale. Esso consiste precisamente in ciò, che gli uomini, per legge di natura, si dividono, in generale, in due categorie: quella inferiore (gli uomini comuni), cioè, per dir così, il materiale che serve unicamente per la procreazione di altri esseri simili a sé, e gli uomini veri e propri, aventi cioè il dono o la capacità di dire nel loro ambiente una parola nuova. Le suddivisioni, s’intende, qui sono infinite, ma i tratti distintivi delle due categorie abbastanza netti: la prima categoria, cioè il materiale, generalmente parlando, sono uomini per natura loro conservatori, posati, che vivono nell’obbedienza e amano ubbidire. Secondo me, hanno anche l’obbligo di ubbidire, perché questa è la loro missione, e in ciò non v’è per loro proprio nulla di umiliante. Quelli della seconda categoria trasgrediscono tutti la legge, sono sovvertitori, o inclini a esserlo, a giudicare dalle loro attitudini.[5]>> Bisogna provare a comprendere se Raskolnikov possa oltrepassare il limite imposto agli uomini dalla legge morale che sembra bloccare e soffocare la libertà.  Raskolnikov decide di uccidere  la vecchia usuraia e, per un errore del suo piano d’azione, anche la sorella Lisaveta, per dimostrare che la sua libertà può abbattere e superare i limiti imposti dalla legge morale. Egli infatti sostiene di non aver ucciso una persona bensì un principio. Perpetrando il delitto della vecchia usuraia intendeva porsi al di là del bene e del male, ma non riuscirà nel suo intento. Dice infatti di aver voluto scavalcare la legge morale, ma di non esserci riuscito e di sentirsi come un pidocchio. Per Givone Raskolnikov è un esempio di uomo del sottosuolo: <<Se le cose stanno così, allora bisogna dire che l’anonimo uomo del sottosuolo avrà subito un nome, e questo nome sarà Raskol’nikov.[6]>> Nel suo profondo abita un’idea dotata di una forza micidiale. Egli vuole giustificare l’assassinio dicendo che l’ha perpetrato per fini superiori; sostiene che sia stato giusto uccidere la vecchia usuraia poiché la sua vita era inutile e dannosa per le altre persone e anche perché il denaro che le apparteneva poteva essere messo a disposizione di chi ne aveva più bisogno. Quest’idea di Raskolnikov intende far emergere l’uomo superiore, terribilmente diabolico, che era nascosto nel sottosuolo. Egli crede nella giustezza della sua idea, non prova nessun pentimento dopo aver ucciso l’usuraia perché sostiene di essere autorizzato. Raskolnikov non condanna se stesso, però nei suoi sogni gli è concessa la possibilità di riconoscere la profonda falsità che si nasconde nella sua persona e nelle sue teorie. La vicenda di Raskolnikov vuole mostrare gli esiti catastrofici a cui giunge la morale utilitaria. La libertà realizzata in questa maniera porta alla distruzione di sé e ad essere ridotti a infimi parassiti della vita.
Secondo Dostoevskij la libertà si realizza anche come rifiuto. Chi rappresenta questa figura della libertà è Ippolit, personaggio dell’opera dostevskijana l’Idiota. Egli è un giovane tisico giunto ormai agli ultimi momenti della sua vita. Ammette ogni cosa, la malattia, Dio, la vita eterna, ma si rifiuta di accettarle. La libertà, nel personaggio di Ippolit diventa luogo della riserva del proprio assenso. Ammette il fatto che ci sia la vita e che lui debba soffrire, ma dice anche che avrà sempre un sospetto ed una resistenza verso ciò che esiste. <<Egli non esclude affatto che dietro il feroce disordine della vita si celi una legge armonica di sviluppo; né esclude l’armonia finale del nascere e del morire, che si sprigioni dallo stesso contrasto come da una sua fonte inesauribile e si risolva già da sempre in conciliazione, visione, bellezza. Semplicemente, questa bellezza egli la rifiuta.[7]>> Sostiene che vuole difendere la sua libertà mantenendo la riserva della sua accettazione nei confronti di ciò che esiste.                                               
Arriviamo ora a presentare la libertà intesa come ribellione o rivolta. Rappresentante di questa tipologia di libertà è indiscutibilmente il personaggio di Ivàn Karamazov. Egli si domanda come l’uomo possa essere libero se esiste il male e in che modo questo possa essere accettato quando riguarda le creature innocenti. Ivàn dice di non poter accettare questo mondo. Ippolit, anche se non dava l’assenso, accettava questo mondo, mentre Ivàn espone una tesi più drastica in quanto dice di non poter accettare il mondo creato in questo modo da Dio. Secondo Givone uno dei momenti che scandiscono il nichilismo di Ivàn è la ribellione contro l’ordine metafisico che si manifesta attraverso la denuncia dello scandalo del male come dimostrazione dell’assurdità del mondo. <<Ciò che Ivan non accetta è di unirsi al coro; egli preferisce restare dalla parte della “sofferenza invendicata” – la sofferenza dei bambini, in particolare, spesso oggetto di sevizie gratuite e perverse – perché quella sofferenza non può e non deve servire ad essere piegata ad altro, sia pure a un’armonia che la fagociti in un’eternità di redenzione.[8]>>  Egli, con la sua intelligenza euclidea, non può accettare il male e non può accettare il fatto che questo possa servire per ottenere un bene futuro, un’armonia finale. Questa forma di ribellione conduce Ivàn a vedere nel padre Fëdor il simbolo di questa ingiustizia che non ha diritto e dignità di esistere. Egli così ispira al fratellastro Smerdjakov, un giovane con problemi psichici, l’assassinio del padre. La colpa di questo crimine viene attribuita all’altro fratello, Dimitrij. Durante il processo a Dimitrij, Ivàn  si alza in piedi e domanda se possa esistere qualcuno che non desideri la morte del proprio padre. Queste parole sono emblematiche in quanto Ivàn, che non accetta più questo mondo, sostiene che per rivendicare la loro libertà, gli uomini devono arrivare a negare chi ha creato tutto, quindi a negare Dio. La scomparsa di Dio vuole significare che ogni cosa è permessa all’uomo, così egli riuscirà a lottare con le sue forze contro il male senza più alcuna regola imposta, se non quella della propria libertà.                                                                                               Inoltre la libertà può essere intesa come puro arbitrio. La figura che rappresenta questa libertà nelle opere di Dostoevskij è Kirillov, un personaggio del romanzo I Demoni. Egli non crede più in Dio e sente la necessità di trovare un valore assoluto che lo possa sostituire. Questo valore assoluto lo individua nell’uomo stesso. Sostiene infatti che se Dio non c’è, allora l’uomo è Dio. Viene proposta quindi la teoria dell’uomo-Dio, l’umanità viene divinizzata. Egli dice che l’arbitrio è l’attributo fondamentale della divinità dell’uomo, la libertà illimitata è quindi indispensabile per l’uomo-Dio. <<La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura: l’uomo ama la vita, perché ama il dolore­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­ e la paura. Lo hanno fatto così. La vita viene concessa a prezzo di dolore e di paura, e qui sta tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo che dovrà essere. Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. Quello al quale sarà indifferente vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. E l’altro Dio non vi sarà più.[9]>> Per Kirillov l’uomo deve diventare indifferente alla morte e deve considerarla equivalente alla vita, solo in questo modo non avrà più paura di suicidarsi perché è riuscito a comprendere che né vita né morte contano davvero rispetto alla sua libertà. Kirillov arriva ad elaborare questa teoria drastica che lo porterà all’annullamento della propria persona. Per  trasformare l’umanità, la quale riesce ad ottenere la sua divinità ed è assolutamente libera attraverso l’arbitrio, ci si deve suicidare, perché solamente uccidendosi gli uomini superano ogni limite.
 Dobbiamo poi considerare anche la libertà come negazione. Questa tipologia viene rappresentata dal personaggio principale de I Demoni, ovvero Stavrogin. Nel romanzo è il tentatore per eccellenza, può essere inteso come il “serpente primordiale” che tenta tutta l’umanità. Egli vuole portare, attraverso le sue azioni e le sue tentazioni, tutti gli altri personaggi alla distruzione. Per Stavrogin non hanno più valore il bene ed il male, gli interessa solo l’essere o il non essere, la vita o la distruzione. Stavrogin si sente attratto dalle situazioni umilianti e ridicole perché in queste, oltre ad un grande sdegno, trova anche un incredibile piacere. Questo è dovuto al suo radicale indifferentismo etico, che ponendosi al di là del bene e del male, conduce la sua vita nella noia più terribile. La sua libertà, che non considera più il bene ed il male, lo conduce verso la noia e l’apatia che lo soffocano e lo distruggono portandolo al suicidio con il quale fa terminare nel nulla un’esistenza contrassegnata completamente dal nulla. Queste figure della libertà che ho cercato di presentare si consumano trasformandosi nel loro opposto. Berdjaev scrive che <<Dostoevskij mostra appunto questo tragico destino della libertà nel destino dei suoi eroi. La libertà trascende in arbitrio, in una ribelle autoaffermazione dell’uomo. La libertà diviene priva di contenuto, vana, essa svuota l’uomo. Priva di contenuto e vana è la libertà di Stavrogin e di Versilov, e la libertà di Svidrigailov e di Fёdor Pavlovic Karamazov dissolve la personalità. Porta al delitto la libertà di Raskol’nikov e di Ivan Karamazov. La libertà come arbitrio annienta se stessa, trapassa nel suo opposto, dissolve e perde l’uomo. Con un’interna fatalità immanente simile libertà porta alla schiavitù, dissolve l’immagine dell’uomo[10].>> La libertà diventa schiavitù e consuma l’esistenza umana quando l’uomo non accetta di riconoscere alcunché di più alto di sé. Infatti se non vi è nulla che sia superiore all’uomo, allora non c’è neppure l’uomo, se non sussiste alcun legame fra libertà umana e quella divina, allora non c’è nemmeno la libertà. Se ogni cosa è permessa agli uomini la libertà umana diventa schiavitù di sé. <<La libertà umana raggiunge la sua espressione definitiva nella libertà suprema che è libertà sulla Verità. Tale è la dialettica irrefutabile della libertà. Essa porta alla via del Dio-uomo. Nel concetto del Dio uomo la libertà umana si unisce a quella divina, l’immagine umana all’immagine divina. Con un’interiore esperienza della libertà si consegue la luce della Verità. Né può esservi ritorno al dominio esclusivo della legge esteriore, alla legge della necessità e della costrizione[11].>>
Dostoevskij sostiene che ci possa essere la libertà di scegliere il bene o il male e la libertà nel bene. Egli ritiene che non si possa imporre agli uomini il bene. Il bene non deve essere forzato, deve essere conseguenza della libertà. Il bene libero presuppone la libertà del male. <<La libertà del male porta alla distruzione della libertà stessa, alla degenerazione in una necessità cattiva. La negazione della libertà del male e l’affermazione dell’esclusiva libertà del bene porta pure alla negazione della libertà, alla degenerazione della libertà in una necessità buona. Ma la necessità buona non è più un bene, giacchè il bene presuppone la libertà[12].>> La Verità rende infatti l’uomo libero, ma la Verità deve essere accettata dall’uomo liberamente, non lo si può costringere o condurre con la forza ad essa. Cristo ha donato agli uomini la libertà, ma essi devono accettare Cristo in maniera libera. Questa accettazione libera rappresenta la dignità dell’uomo e del suo atto di fede ed è ciò che rende davvero liberi gli uomini. Questa però non è una strada semplice, passa attraverso le tenebre, lo sdoppiamento e la tragedia e porta l’uomo a conoscere il bene, ma anche il male. <<La via della libertà è la via dell’uomo nuovo del mondo cristiano. L’uomo dell’antichità classica e l’uomo dell’antico Oriente ignoravano questa libertà, erano inchiodati alla necessità, all’ordine naturale, sottomessi al fato. Solo il cristianesimo ha dato all’uomo questa libertà, la prima libertà e l’ultima. Nel cristianesimo si è rivelata non solo la libertà del secondo Adamo, apparsa una seconda volta nello spirito dell’uomo, ma anche la libertà del primo Adamo, non solo la libertà del bene, ma anche la libertà del male[13].>> Secondo Pareyson la concezione filosofica di Dostoevskij è tragica perché considera la vita dell’uomo sotto l’insegna della lotta tra bene e male, infatti: <<Il male non ha un’esistenza propria, ma ha un’esistenza necessariamente parassitaria, perché esso non può sussistere se non appoggiandosi alla realtà esistente, cioè alla realtà dell’uomo.[14]>> La strada che porta al bene conduce gli uomini alla possibilità di esperire anche il male. <<Questa dialettica tra bene e male si fonda sull’esperienza della libertà, infatti il male, il peccato, la colpa non sono l’incapacità umana di persistere e perseverare nel bene, ma sono l’instaurazione positiva di una realtà negativa, cioè il frutto d’una volontà diabolica intelligente e consapevole di se stessa, e la decisione di una libertà illimitata desiderosa di affermazione di là da ogni legge e da ogni norma. Il male è prodotto dalla volontà e dalla libertà dell’uomo, che scientemente e deliberatamente commette l’azione malvagia […][15]>> Anche il carattere dialettico del bene trova il suo vero significato attraverso l’esperienza della libertà. Il suo valore sta nella consapevolezza che il male è possibile e che non risulta, quindi, indispensabile per la sua realizzazione. <<Il male è la via tragica dell’uomo, il destino dell’uomo, la prova della libertà umana. Ma il male non è un momento necessario nell’evoluzione del bene.[16]>>
 La libertà presuppone l’infinito e per l’uomo del mondo cristiano l’infinito non è solo il caos, ma anche libertà, mentre secondo l’uomo dell’antichità classica l’infinito era solamente il caos. La libertà ribelle che Dostoevskij attribuisce ai suoi personaggi rappresenta un nuovo momento della storia dell’uomo nel mondo cristiano. L’autore russo intende passare da una comprensione del cristianesimo solamente astratta ad una più concreta. Egli intende indagare le profondità dell’animo umano perché solo così si può trovare la libertà dell’uomo cristiano. I personaggi dei romanzi di Dostoevskij conducono la loro esistenza sempre in bilico tra il bene ed il male, tutto è collegato alle scelte che sono chiamati a prendere liberamente. Essi si trovano sempre impegnati a risolvere situazioni problematiche e a riflettere su queste, vivono perennemente in una condizione di tensione dovuta alla presenza della libertà. La tensione della libertà è presente in ogni istante della loro esistenza, devono sempre fare i conti con questa.
 L’uomo per lo più non riesce a sostenere il dramma della libertà e a causa di questa tensione si sdoppia. Gli uomini non sono in grado di sopportare il peso delle decisioni per l’esistenza. Dostoevskij, attraverso i suoi personaggi, ci propone sia uno sdoppiamento psicologico, per esempio Raskolnikov che vede se stesso attraverso il sogno, sia uno sdoppiamento morale, come se un’altra persona si mettesse di fianco a noi e facesse, pensasse e desiderasse ciò che noi vorremmo, ma non possediamo la libertà morale di fare; ciò accade ad Ivàn Karamazov quando, in un incubo, incontra il demonio, che in realtà è se stesso, e questo demonio conduce alle estreme conseguenze ciò che la paura dell’esistenza impedisce a Ivàn di attuare. Dostoevskij era però anche convinto che senza la libertà del peccato e del male non può essere accettata l’armonia universale. Egli sostiene che la libertà dell’uomo deve essere preposta a questa armonia, non deve essere un’armonia forzata. L’uomo non può accogliere la libertà per il bene se proviene da un ordine o da una costrizione. L’armonia universale deve essere attuata dall’uomo attraverso la libertà del suo spirito, deve essere respinto ogni ordine forzato. <<Questa fede riposa sulla libertà della coscienza umana. “Il mio Osanna è passato attraverso il crogiolo dei dubbi”, scrive Dostoevskij di se stesso. E avrebbe voluto che ogni fede si temprasse nel crogiolo dei dubbi. Dostoevskij è stato, probabilmente, il difensore più appassionato della libertà di coscienza che il mondo cristiano abbia conosciuto[17].>> Dostoevskij considera la negazione della libertà dello spirito come una violenza perpetrata nei confronti della coscienza umana e questa rappresenta il principio dell’anticristo. Gli uomini devono trovare nella profondità del loro spirito la forza libera per riconoscere in Cristo il figlio di Dio. Questa libertà dello spirito umano è negata dagli uomini che hanno deciso di percorrere la strada dell’arbitrio. <<Chi ha intrapreso la strada dell’arbitrio e dell’autoaffermazione, chi ha diretto la sua libertà contro Dio, non può conservare la libertà, e fatalmente giunge a calpestarla[18].>> Per Dostoevskij il rapporto tra verità e libertà non si può sciogliere, in quanto la loro definizione implica il reciproco riferimento. La libertà arriva a distruggersi quando degenera in arbitrio e nega la verità dalla quale non si può separare. La libertà intesa come arbitrio senza limiti, che si rivolta contro Dio, conduce inesorabilmente ad un dispotismo illimitato, come era quello del Grande Inquisitore nella Leggenda. In questo modo vengono soppressi la verità di Cristo ed il senso della vita e lo spirito umano viene portato ad un totale asservimento. Gli uomini agiscono in questo modo perché non sono in grado di sostenere il fardello della libertà, preferiscono rinunciare ad essa e affidarsi ad un’organizzazione forzata della felicità nel mondo.
Dostoevskij era convinto che la vera libertà è possibile solamente in Cristo, mentre l’arbitrio e la pretesa di una felicità dell’umanità senza Dio portano alla distruzione della libertà e dello spirito degli uomini. L’autore russo sostiene che chi si allontana da Dio arriva inevitabilmente a negare la libertà perché <<La “mente euclidea” – espressione amata da Dostoevskij – è impotente a conseguire l’idea di libertà, questa le è inaccessibile, come mistero assolutamente irrazionale. La rivolta della “mente euclidea” contro Dio è legata con la negazione della libertà, con la sua incomprensione[19].>> Senza libertà intesa come mistero della creazione questo mondo colmo di dolore e sofferenza non può essere accettato e non può quindi essere accettato Dio in quanto suo creatore. Qui si mostra la tragedia della libertà ribelle che ha condotto l’uomo a negare la stessa idea di libertà e Dio. Si possono accettare Dio e questo mondo solamente se si considera la libertà in modo tale che non possa essere compresa razionalmente, come intende invece fare la ”mente euclidea”.  Solo ponendo questa libertà, che non può essere compresa tramite la ragione, come base del creato, si possono giustificare il male e la sofferenza che sono presenti in esso. Per ottenere un mondo buono e felice, senza male e dolore, si dovrebbe eliminare la libertà, ma in questo modo si priverebbe l’uomo ed il mondo della loro dignità. <<La “mente euclidea” potrebbe costruire il mondo fondandolo unicamente sulla necessità e questo sarebbe un mondo esclusivamente razionale. Tutto l’irrazionale ne sarebbe eliminato. Ma il mondo di Dio non ha un senso che si possa commisurare con la “mente euclidea”.[20]>> La “mente euclidea”, che aveva cominciato la sua ribellione a partire dalla libertà, intende terminare la sua azione costituendo un mondo fondato sulla necessità e sul dispotismo illimitato. <<La dialettica della necessità porta con sé l’eliminazione della distinzione fra il bene e il male, cioè l’indifferenza che incarna il tenebroso Stavrogin. Il demone scettico, amorale, non sente più il problema di Dio, anzi per la “tiepidezza” della sua anima dannata è destinato a essere rigettato dalla bocca di Dio. Egli, infatti, in quanto “tiepido”, è ugualmente lontano sia dall’ardore del credente che dalla freddezza dell’ateo. Costoro pur proponendo soluzioni diametralmente opposte, sentono entrambi il problema dell’esistenza di Dio. Consapevoli che tutta la loro vita dipenda da questo, scelgono tra il credere e il non credere in Lui[21].>> Secondo Dostoevskij, chi nega la libertà dello spirito arriva a negare anche Dio, perché un mondo necessariamente buono e felice, in cui vi è un’armonia forzata, risulta essere un mondo senza Dio, paragonabile ad un semplice meccanismo razionale.



[1] Fёdor Dostoevski , Memorie dal sottosuolo, RCS Libri S.p.A, Milano, 2000, p. 48
[2] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[3] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[4] Fёdor Dostoevskij, Il giocatore, Garzanti, Milano, 2012, p. 56
[5] Fёdor Dostoevskij, Delitto e castigo,  BUR, Milano, 2010, p. 276
[6] Sergio Givone, Op. cit., p. 107
[7] Sergio Givone, Op cit., p. 79
[8] Sergio Givone, Op. cit., p. 142
[9] Fёdor Dostoevskij, I demoni, Einaudi, Torino, 2014, p. 220
[10] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[11] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[12] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 57
[13] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 54
[14] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 58
[15] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 153
[16]Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 71
[17] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 58
[18] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 62
[19] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 64
[20] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 65
[21] Francesca Volpe, Dostoevskij in Italia. Recenti interpretazioni, Edizioni Albo Versorio, Milano, 2011,  p. 94

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