lunedì 3 luglio 2017

La commedia universale

Da sempre l’uomo va cercando, nel corso della sua esistenza, di occupare un posto nel mondo, un senso da seguire per non trovarsi in balia del’incertezza, della instabilità. Che questo venga fatto in maniera consapevole o meno è un altro discorso, che sicuramente merita di essere trattato, ma è un altro discorso. E a noi adesso non interessa. Quello che ci preme considerare è il senso che la nostra società ha iniziato a darsi e sta proseguendo senza sosta a renderlo sempre più solido: costruirsi come personaggi di una commedia universale.
Non giriamoci intorno ed evitiamo di utilizzare mezzi termini, questa è l’epoca dell’apparenza.
Detto in soldoni: è stato messo da parte l’essere più proprio dell’uomo per fare spazio all’apparire.
D’altronde per entrare a far parte della commedia universale, che ha preso il via ormai da qualche anno, bisogna costruire un proprio personaggio. Quindi via l’essere, il pensiero, tutto ciò che risulta superfluo ai fini della commedia e sotto con l’apparenza, con la costruzione di qualcosa di fittizio che però ci permetta di entrarci a pieno diritto, in questa commedia universale.
Con l’avvento dei social media non può essere altrimenti, mi dite voi?
Probabile. Ma l’intento dei fondatori delle grande piattaforme social non era questo, almeno non lo era all’inizio. Con i social media si voleva offrire alle persone un servizio grazie al quale rafforzare la propria libertà di pensiero e di condivisione. Quindi si badava al pensiero delle persone all’inizio, quindi si badava all’essere degli uomini.
E invece cos’è accaduto?
Beh, è accaduto che qualcosa è andato storto. Come spesso accade, anzi quasi sempre, uno strumento così potente messo nelle mani delle persone si discosta da quello che era l’intento iniziale e prende a deviare verso una deriva senza termine. Volevano rendere gli uomini più liberi, li hanno resi prigionieri. Prigionieri di un personaggio che si sono dovuti costruire per entrare a far parte di questa commedia universale che sta andando in scena e che ha smesso di essere piacevole da un pezzo ormai. È stato eliminato, quasi del tutto, ogni riferimento all’essere più proprio per andare dritti al sodo, all’apparenza, che ci fa risultare personaggi graditi nella commedia universale.
La nostra generazione è chiamata ad affrontare innumerevoli sfide cruciali nel futuro prossimo. Ma come possiamo anche solo pensare di vincerle se siamo impegnati a costruire il nostro personaggio social per incatenarci nella commedia?

La risposta purtroppo non la possiedo, però già il fatto di porsi questo interrogativo ritengo rappresenti il primo mattoncino da posare per edificare una nuova “casa sociale”. Libera nel concreto, almeno questa volta. Rimbocchiamoci le maniche perché ci aspetta un arduo compito, ma tocca a noi risollevare le sorti di una società alla deriva. Buon lavoro a tutti.

lunedì 6 febbraio 2017

Io ti cielo!

“Io ti cielo!”
Mi sembrava la solita frasetta banale, portata alla ribalta solo perché formulata da un’artista dello spessore di Frida Kahlo. Tre parole buttate lì, che pensavo andassero bene come aforisma per i baci perugina e niente più.
Mi sbagliavo.
Come al solito il senso non si trova sulla superficie delle situazioni, erravo perché non mi ero immerso nella profondità di questo breve pensiero, per coglierne il senso autentico. Frida Kahlo in questo caso è stata invece geniale, come del resto durante tutta la sua eccezionale esistenza. Ha compreso che l’amore non può essere descritto con parole comuni, standardizzate. L’amore è un sentimento "altro", non ha nulla a che vedere con la quotidianità e la consuetudine. Per questo ha deciso di inventare tale aforisma: io ti cielo! Fantastico, se ci pensate a fondo. Non si è accontentata di un semplice “ti amo”, ha compreso che essendo un sentimento “altro”, ovvero che non ha niente a che spartire con i restanti sentimenti, l’amore meritasse dei termini “altri”. L’amore è un sentimento verticale, non c’entra alcunché con la quotidianità orizzontale. Non va banalizzato con frasi comuni, modi di dire e più che altro trovo uno scempio che venga associato ad un giorno particolare, come se andasse ricordato che bisogna amare una volta l’anno: mi riferisco a quel giorno infausto che è S. Valentino ovviamente; la commercializzazione dell’amore, che porcheria inaudita!
Per fortuna esisterà sempre qualcuno come Frida Kahlo che non vorrà rinchiudere in gabbia tutta la forza di questo sentimento misterioso, un sentimento che sconquassa e rasserena allo stesso tempo, un sentimento contraddittorio e bellissimo, di quella Bellezza maiuscola, che salva, ovviamente.


MV

martedì 11 ottobre 2016

Condannata per un racconto mai pubblicato

6 anni di carcere. Questa è la pena a cui Golrokh Ebrahimi, scrittrice e attivista per i diritti umani iraniana, è stata condannata ed ha iniziato a scontare il 4 ottobre presso la prigione di Evin, a Teheran. Ma facciamo un passo indietro. Il 6 settembre 2014 le Guardie rivoluzionarie fanno irruzione nella casa dove Golrohk Ebrahimi viveva col marito, il 30enne attivista Arash Sadeghi, per un'ispezione, durante la quale vengono sequestrati computer, taccuini e cd e viene scoperto il manoscritto. In seguito l'uomo viene arrestato con l'accusa di "propaganda contro il sistema" e Golrokh Ebrahimi interrogata nel carcere di Evin, con metodi durissimi, per 20 giorni. Dopo un processo che considerare "farsa" sarebbe troppo poco, lo scorso martedì le autorità giudiziarie comunicano a Golrokh la condanna a 6 anni, per il suo racconto mai pubblicato. Il libro, giudicato "offensivo dell'Islam", ha scatenato una forte reazione negli ayatollah, in quanto narra la storia di una ragazza iraniana che, dopo aver visto alla tv il film <<The stoning of Soraya M>>, che racconta la vera storia di una connazionale lapidata, si indigna e brucia una copia del Corano.Quella della lapidazione è una materia scottante in Iran, dove questa pena continua ad essere consentita e giustificata in nome della tutela della moralità. Golrokh Ebrahimi è stata condannata per aver usato la sua immaginazione allo scopo di rivendicare pacificamente i propri diritti, opponendosi alla pratica disumana della lapidazione.


Questa storia ci deve portare a riflettere attentamente. Sono temi d'attualità che sembrano lontani anni luce dalla nostra società, ma verso i quali non possiamo nascondere la testa sotto terra e fare finta di  nulla. Non è possibile che siano ancora in vigore queste pene disumane, perchè di tali si tratta, che violano i diritti degli uomini. Sono crimini rivolti contro l'umanità intera, non dobbiamo rimanere indifferenti. Proprio in questo giorno, nel quale si celebra la giornata mondiale per i diritti delle ragazze, la riflessione deve essere portata ad un livello responsabile ed attuale. Le forze politiche non devono rimanere immobili di fronte a questi crimini, qualcosa va fatto. 
Parlando di forze politiche, e andando marginalmente a toccare un altro tema di stretta attualità, forse siamo riusciti a scongiurare il peggio e quando parlo di peggio intendo quel personaggio meschino che risponde al nome di Donald Trump. 
La speranza è che la storia di Golrokh Ebrahimi possa smuovere le coscienze e portare qualche cambiamento. Forse si tratta di una speranza utopistica, di un sogno, ma se smettiamo di sognare un mondo migliore, questo non si concretizzerà mai.

MV

martedì 19 aprile 2016

La mia Ombra nera





La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso, perché la si vede uscire dalle labbra, e le labbra piacciono e gli occhi seducono.
Ma le parole nere sulla carta bianca sono l’anima messa a nudo.

(Guy de Maupassant, Il nostro cuore)




È arrivato il momento. L’ho rimandato per tanto tempo, ma ora sento la necessità di farlo. Per continuare a scrivere è fondamentale io lo faccia. Scrivendo mi presento nudo di fronte ad un pubblico ed è necessario inizi a spogliarmi, liberandomi di questo macigno che da qualche anno grava su di me. Io ho sofferto di depressione.
Condividere questa storia mi inquieta alquanto, però ho preso questa decisione e sono convinto di portarla a termine. Lo faccio soprattutto per me stesso, sono onesto, ma anche magari per chi, trovandosi nella stessa situazione in cui ero capitato io, potrà sentirsi un po’ più tranquillo dopo aver letto questo racconto.

Ormai sono trascorsi quasi sei anni da quando Ombra nera  (così avevo nominato quel male che mi stava perseguitando) non condiziona più la mia vita. Precisamente, aveva fatto la sua comparsa sulla scena della mia esistenza nel 2009. Il suo modo di manifestarsi era meschino: senza nemmeno avere la cortesia di avvisare, sfondava la porta della mia vita e mi aggrediva violentemente, costringendomi ad esperire sensazioni tremende, mai conosciute in precedenza. La conseguenza fisica delle sue visite si concretizzava in un respiro affannoso e prolungato seguito da prepotenti attacchi di vomito. Ombra nera mi aveva terrorizzato. Non ero consapevole di cosa potesse essere, sapevo solo che era entrata nella mia vita e faceva un male bestiale. Quell’infame mi veniva a trovare ovunque, senza distinzione di luogo. Ricordo quando al Liceo, durante una lezione nel laboratorio di fisica, ero dovuto scappare in bagno di corsa, senza nemmeno riuscire a chiedere il permesso alla Professoressa, la quale aveva poi premiato il mio gesto apponendo una bella nota sul registro. Queste situazioni problematiche erano all’ordine del giorno. Ombra nera mi stava condizionando l’esistenza. L’unica spiegazione che da solo riuscivo a trovare, era che lo stress per l’imminente esame di maturità mi stava tirando questi brutti scherzi. Da solo ovviamente, perché il mio problema non l’avevo confidato a nessuno. Stavo frequentando l’ultimo anno di Liceo e quello di maturità rappresentava il primo grande esame che avrei sostenuto nella mia vita. Questa spiegazione dunque poteva reggere e per qualche tempo mi aveva,in un certo modo, tranquillizzato. Quella sorta di castello di carte delle mie spiegazioni, con cui avevo cercato di dare una risposta a quello che mi stava accadendo, era crollato definitivamente dopo aver sostenuto il tanto temuto esame. Lo stress se n’era andato, Ombra nera no. Da quel momento, anzi, avevo capito che Ombra nera non se ne sarebbe andata e stava diventando ancora più potente.
Ero entrato in un vortice oscuro e non sapevo in che modo uscirne. Inoltre, in quel periodo infausto, si stava lentamente spegnendo la vita della mia bisnonna Carolina. Rappresentava un punto di riferimento per me, una figura troppo importante. Oltre ad aver dovuto sopravvivere all’orrore di due guerre mondiali aveva avuto anche l’arduo compito di accudire un ragazzo particolare come sono io. Mi trovo in difficoltà a dover scrivere qualcosa riguardo la sua persona perché sento che non una parola di quelle che sto usando possono realmente dimostrare che donna meravigliosa è stata. Mi ha insegnato molto, mi ha insegnato che perdonare ti dà dignità, mi ha insegnato a non credere che le situazioni della vita sono solamente bianche o nere, ma decisive sono le sfumature. Intorno ai sedici anni avevo maturato, sciaguratamente, delle simpatie per il regime fascista e lei aveva cercato di farmi comprendere che il mondo non lo si rende un posto migliore attraverso le ideologie sbagliate, attraverso la promessa di presunti paradisi terrestri, il mondo lo si salva con l’amore. Io, che a quel tempo consideravo sacri valori come la forza e il coraggio, non potevo comprendere la portata decisiva di quella tesi. Ora che riesco a comprenderla so che non smetterò mai di ringraziarla per tutto quello che mi ha dato. Una persona così importante per me, stava lasciandomi per sempre. Non riuscivo ad accettarlo. Ero ancora più debole e vulnerabile, infatti Ombra nera festeggiava. In quei momenti avrei voluto tanto confidarmi con mia madre, ma mi ero convinto a non farlo. Stava soffrendo e non mi sarei mai permesso di aumentare il dolore ad una persona che nel corso della sua vita ne aveva già conosciuto abbastanza. Sì, perché il dolore di perdere tuo padre quando sei una bambina piccola è un’ingiustizia tremenda, non saprei come chiamarla altrimenti. Non gliel’ho mai detto, ma l’ho immaginata tante volte al funerale di mio nonno Bruno. Piccola com’era, al primo banco della Chiesa, con gelide lacrime che bagnavano la bellezza immacolata del suo viso. La ammiro molto per la donna che è diventata nonostante tutto, è l’esempio che si va avanti nonostante, senza commiserarsi troppo per il male che ci si è scaraventato contro.
Per questo motivo, non volendo aggiungerle altra sofferenza, mi sono tenuto Ombra nera tutta per me. Stavo malissimo, non riuscivo a fare più nulla. Ogni mattina mi veniva a svegliare la tristezza, non sapevo più cosa fosse un sorriso autentico, un sorriso colmo di gioia. Avevo smarrito la felicità di iniziare una nuova giornata, tutto per me non aveva più senso. Non avevo più il desiderio di vivere la vita, mi limitavo a sopravvivere. Questi tormenti interiori mi hanno portato ad optare per scelte sbagliate che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Durante l’estate post-maturità avevo preso la decisione scellerata di iscrivermi alla facoltà di Economia. È assurdo pensare come un ragazzo che odia la matematica (sono anche scarso in materia, lo ammetto) si possa iscrivere ad un corso di Economia. Era però l’alternativa più comoda, in quanto la sede della facoltà si trova a pochi minuti da casa mia e visto che si erano iscritti anche alcuni miei amici, non sarei stato solo e non avrei dovuto sforzarmi di conoscere nuova gente. Io in quel periodo odiavo la gente. Mi sembrava dunque l’unica soluzione possibile. Dopo i primi mesi però mi ero già reso conto della cazzata assurda che avevo fatto. Ombra nera era riuscita a condizionarmi anche in questo caso, aveva ottenuto l’ennesimo trionfo e festeggiava a suon di visite sempre più frequenti e violente. Mi veniva a trovare in ogni luogo: a casa, al campo mentre giocavo a calcio, durante le serate in discoteca con gli amici. Ricordo che una volta, mentre ero appunto in discoteca,  Ombra nera aveva deciso di venire a trovarmi perché odiava il fatto che mi potessi divertire. Quella volta avevo passato tutta la serata in sua compagnia, a vomitare nei bagni. Sono stato costretto a fingere con i miei amici di essere ubriaco, quando invece, forse, l’unica cosa che avevo bevuto in quell’occasione era stata una coca cola. Ombra nera se la rideva della grossa. Situazioni orribili. Quel male infame mi costringeva ogni giorno ad indossare diverse maschere e a fingere. Fingevo con chiunque, in primis con me stesso. Credevo di proteggermi in quel modo, provavo vergogna e volevo nascondere il mio problema. Ombra nera diventava ogni giorno più grande e stava riuscendo a togliere tutta la bellezza dalla vita di un ragazzo di vent’anni. Un ragazzo sensibile, forse troppo. Ero disorientato, mi sentivo buttato in una situazione che non potevo controllare. La vita, che fino a quel momento era stata magnanima con me, aveva deciso di iniziare a bastonarmi senza aspettare che mi preparassi per ricevere i colpi. Davanti a me c’era solamente una strada buia che ero convinto di non riuscire a percorrere. Vivevo i giorni della settimana senza alcuna motivazione, non trovavo più obiettivi che mi facessero alzare dal letto la mattina felice di farlo.
Poi, non so per quale legge malvagia che qualcuno un giorno mi dovrà spiegare, quando una cosa inizia ad andare male tutte le altre le vanno dietro di conseguenza. Stavo con una ragazza, era la mia prima relazione seria. A quell’età ti fai prendere subito da quelle sensazioni nuove, che non avevi provato mai in precedenza. Ti ci butti a capo fitto e pensi di vivere in una fiaba della Disney. Fai mille progetti, pensi già a situazioni future convinto che nulla potrà mai scalfire quella bella novità che si è presentata nella tua vita. Ma quando capisci che non è così, che i rapporti tra gli uomini possono essere instabili e le fiabe sono solo invenzioni per illudere i bambini, la botta che prendi è tremenda. E io quella botta tremenda l’avevo presa dritta in faccia. Ombra nera si era impossessata completamente di me. Il giorno in cui la mia ex ragazza mi ha lasciato ho toccato il punto più basso in assoluto. Mi sentivo una nullità, avevo perso tutta la mia dignità di essere umano. Era una domenica e avevo passato tutta la notte sveglio a piangere e vomitare. Ero esausto, non ce la facevo più. Sentivo che se mi fossi tenuto ancora tutto dentro, anche solo per un altro giorno, sarei scoppiato. Ricordo che la mattina seguente scendendo le scale per andare a raggiungere mia madre che stava facendo colazione in cucina, sembravo uno zombie. Mi ero fermato davanti a lei, in piedi, e fra mille singhiozzi che avevano il rumore della disperazione le avevo raccontato tutto. Ho ancora in mente l’immagine dei suoi occhi, terrorizzati in un primo momento, che subito dopo diventavano però pieni di rassicurazione. Appoggiata la fetta biscottata che stava mangiando, si era alzata in piedi e mi aveva stretto in un abbraccio caldo. Non posso usare altri termini per descriverlo, era un abbraccio che scaldava. Durante quei momenti non diceva una parola, perché non serviva dire nulla, in quel gesto era già racchiuso tutto il significato di cui si aveva bisogno. Dopo tanto tempo ero riuscito a confidarmi e come risposta avevo ricevuto indietro amore e speranza. In quegli istanti avevo capito che non ero solo, che ce l’avrei potuta fare. La bellezza ti può salvare.
Dopo esserci confrontati anche con mio padre, avevamo capito che per risolvere il mio problema era necessario mi facessi aiutare da qualcuno. Così, nei giorni successivi, prendo appuntamento da una psicologa. Ero molto titubante a riguardo, però avevo compreso anch’io che poteva essere l’unica soluzione. Il giorno concordato mi presento nel suo studio, a Borgomanero, città in cui per parecchi anni aveva vissuto mia madre. Ormai non avevo più nulla da perdere e le vado incontro senza preoccupazioni. Mi accoglie sulla soglia dell’ingresso una ragazza giovane che, stringendomi la mano, dice di chiamarsi Giulia. GIULIA. La persona che mi avrebbe aiutato a sconfiggere il mio nemico aveva lo stesso nome di mia sorella, una persona che amo. Io non credo nel destino, però alcune situazioni non riesco davvero a spiegarmele altrimenti.  
Dopo avermi fatto accomodare su di una sedia in pelle nera ed essersi messa di fronte a me, iniziamo subito a parlare. Avevo una voglia matta di buttare fuori tutto il male che portavo dentro e volevo farlo il più presto possibile. Parliamo per un’ora, che mi sembra durare un secondo. Al termine della seduta mi sento già molto più leggero e Giulia mi congeda con un sorriso enorme stampato sulle labbra. Dovevo fare una seduta ogni settimana e durante la terza avviene un episodio decisivo. Parliamo per la solita ora e alla fine di questa Giulia mi guarda negli occhi e mi dice
 – Mattia caro, io ti conosco da poco tempo, ma ho già capito che se tutti i ragazzi fossero come te, al mondo non esisterebbero le guerre. Com’è possibile che tu non sappia o abbia potuto dimenticare quanto vali? –
Rimango sbigottito. Non riesco a pronunciare alcuna parola. La guardo fissa negli occhi e basta. Ricordo distintamente quel sorriso enorme, che la contraddistingueva, stampato sulle sue labbra. Era un sorriso sincero, le sue parole erano sincere. Certe cose le senti istintivamente. Mi stava dando amore in maniera disinteressata, senza un secondo fine. Questa è la bellezza che salva il mondo e che in quel momento stava salvando me.
Quando mi riprendo un minimo riesco solo a dirle – Grazie, non so cos’altro aggiungere. –
Gliel’avevo detto sorridendo spontaneamente, la sua allegria era contagiosa.
– Mattia non devi ringraziare me, ringrazia te stesso quando tornerai a capire che persona sei e ricomincerai ad amarti come meriti. –
Le sorrido di nuovo e avrei voluto tanto mettermi a piangere per la gioia, ma il mio orgoglio da finto bullo mi ha fatto trattenere le lacrime. Sentivo che Ombra nera odiava questa bellezza e, visto che già nei giorni precedenti aveva subito alcuni attacchi non indifferenti, ora capivo che poteva essere la svolta decisiva. L’amore di chi mi stava intorno mi aveva aiutato ad indebolirla, ma adesso toccava a me sferrare l’attacco finale.
Dopo quelle parole Giulia mi saluta e mi dà appuntamento alla settimana successiva dicendomi che quando ci saremmo rivisti mi avrebbe consigliato qualcosa.
Uscito dal suo studio mi sentivo come rinato. Durante il viaggio in auto,tornando verso casa, avevo alzato al massimo il volume della radio e cantato a squarciagola, come ormai non succedeva da molto tempo. Qualcosa stava cambiando, provavo una leggerezza che pensavo non mi appartenesse più. Parlando con Ombra nera ( sì perché, mi sono dimenticato di dirlo, ma io e lei parlavamo o, per  meglio dire, io la insultavo e lei mi rispondeva mandandomi in bagno a vomitare) le avevo fatto capire che era arrivata la sua fine, ormai eravamo alle battute finali della nostra detestabile convivenza. Anche quando si presentava sentivo che era molto meno forte rispetto a prima e soprattutto ora sapevo come gestirla. Avevo riscoperto la felicità di alzarsi la mattina e iniziare una nuova giornata. Ormai riuscivo anche a giocare a pallone e ad andare a ballare con gli amici senza problemi, facevo tutto con immensa gioia.
In quei giorni mia sorella aveva il saggio che concludeva la stagione di danza e volevo presentarmi a quella serata in maniera dignitosa. Avevo così deciso di andare, insieme a mio padre, dal barbiere a farmi tagliare i capelli e sistemare la barba. Sembra un’azione scontata, ma per me significava tanto. Nel periodo in cui Ombra nera tiranneggiava mi ero lasciato andare completamente anche a livello fisico. Non mi curavo più, avevo un aspetto trasandato, non mi importava di me stesso e di nulla. Ora, per me, quel gesto tanto semplice voleva dire ricominciare, riprendere a vivere e ad amarmi. Poi, vedere mia sorella danzare… cosa ve lo dico a fare! Che meraviglia. Vedere una persona che amo in maniera incondizionata manifestare l’Assoluto con la sua arte, in quel modo, mi aveva dato una carica incredibile. Avevo capito quanta bellezza ci potesse essere in questa esistenza e Ombra nera aveva terminato di farmela perdere tutta.
Il giorno che avevamo stabilito mi presento all’appuntamento, non faccio nemmeno in tempo ad entrare dalla porta che Giulia, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, esclama – Ooh finalmente, era ora! Pensavo ci avresti messo meno tempo! –  
– Sono in ritardo? –  le chiedo.
 – Ma no Mattia –  mi risponde sorridendo come al solito – Capelli tagliati, barba sistemata e hai anche preso il sole, guarda come sei abbronzato! Finalmente hai ricominciato ad amarti! Lo senti che sta cambiando tutto? –
 – Lo sento! Lo sento davvero! –  le rispondo esultante e visibilmente commosso. Finalmente anch’io dopo aver sentito dentro di me troppa sofferenza e tristezza, riuscivo a provare gioia, sentivo la bellezza addosso.
 – Benissimo! Per me sei a posto, non serve che ci diciamo altro. Avevo capito quanto valevi, dovevi solo ricordarlo anche tu. Prima di salutarti però ecco il mio consiglio: è estate, devi divertirti. Parti con i tuoi amici, senza pensare troppo alla meta. Te lo meriti. –
 – Lo farò assolutamente, penso di meritarmelo davvero. –
 – Bravo Mattia, questa convinzione mi piace! –
 – La ringrazio davvero per tutto quello che ha fatto e detto per me. –
 – Non devi ringraziare me, devi dire grazie a te stesso per la persona che sei e che sono sicura diventerai e per la difficile battaglia che hai appena vinto. Ora vai a divertirti con i tuoi amici Mattia. Buona vita! –
La vita di ognuno è segnata dalle persone che si incontrano durante il cammino. Gli incontri sono decisivi. Non penso ci sia teoria più vera.
Avevo scelto di seguire il consiglio di Giulia e un mezzogiorno, dopo il quinto spritz di un aperitivo che definirei “importante”, decido di unirmi ad alcuni miei amici che in precedenza avevano  prenotato una vacanza ad Ibiza. Quella era la svolta definitiva per l’esito dello scontro, l’ultimo atto. Ombra nera aveva capito di essere agli sgoccioli. Non si presentava praticamente più, adesso era lei ad avere paura. Era terrorizzata e ne aveva ben donde. Infatti quella settimana trascorsa ad Ibiza avrebbe segnato la sua sconfitta definitiva. Sono stati sette giorni riempiti da amicizia, spensieratezza e felicità. Era tanto, troppo tempo che non riuscivo più a provare certe sensazioni. È stato fantastico. Mi sentivo davvero forte. Se Ombra nera si fosse presentata l’avrei menata alla grande. E infatti aveva pensato bene di non presentarsi. Non smetterò mai di ringraziare i miei amici, compagni di quel viaggio tanto importante. Sono stai gli aiutanti inconsapevoli della mia vittoria su quel brutto male. Non gliel’ho mai detto, perché in certi momenti mi blocco, non riesco ad esprimere tutto quello che invece dovrei, sono fatto così. Spero però di poter recuperare facendo leggere loro queste parole.
Ombra nera era ormai sconfitta e io avevo finalmente vinto la mia grande battaglia. Fino a pochi mesi prima tutto questo mi sembrava un’utopia. Ero riuscito a far risplendere quella strada buia che mi aveva tanto terrorizzato. La speranza, l’amore e la bellezza mi hanno salvato. La vita è colma di amore e bellezza, dovevo soltanto tornare ad accoglierle in me. Mi ero fatto sopraffare da un nemico che sembrava imbattibile, ma solo perché non conoscevo le immense potenzialità di un essere umano.
Ogni tanto Ombra nera viene ancora a trovarmi, però adesso sono visite che non fanno più paura. Ci sono alcuni giorni in cui magari si presenta armata e mi porta ad essere triste e nervoso, ma è questione di poco, ormai so come prenderla e cacciarla via a calci nel culo.
Questa è la storia della mia vittoria contro un nemico infame. Finalmente l’ho raccontata, sono riuscito a condividerla. Ogni situazione, positiva o negativa, ha sicuramente più valore se viene condivisa. Il consiglio che mi sento di dare a chi dovesse vivere la mia stessa esperienza è di non commettere l’errore di tenersi tutto per sé, ma di iniziare a condividere i propri problemi, di buttare fuori tutto il male che gli è capitato dentro. Ogni cosa sarà più semplice e leggera. Si troverà l’amore delle persone e si capirà di non essere soli. Si scoprirà che la vita è colma di bellezza e la bellezza ti salva.

MV





 











giovedì 25 febbraio 2016

La libertà secondo Dostoevskij



         




La libertà è il tema fondamentale dell’indagine sull’uomo di Dostoevskij, attraverso di essa si può comprendere la sua concezione. Il centro della sua filosofia è la libertà che egli considera come condizione indispensabile per conseguire la salvezza ed è ciò che determina il destino dell’uomo e la sua esistenza. La libertà comporta per gli uomini una responsabilità enorme e può provocare dolore e sofferenza, però Dostoevskij, sebbene indaghi situazioni in cui l’uomo si trova senza libertà, non intende alleggerirlo di questo peso. Egli vuole studiare il destino dell’uomo libero, infatti tutte le sue opere riguardano la libertà esperita dagli uomini. La concezione antropologica nella quale Dostoevskij si imbatte è condizionata dalle tre correnti di pensiero che risultavano dominanti. In primo luogo la concezione illuministica secondo la quale l’uomo, per la sua natura positiva, se utilizza la ragione, applicandola alla realtà in maniera corretta, può conseguire l’armonia universale. Quindi gli uomini, se si affidano alla forza della loro ragione, risultano essere buoni. La seconda concezione nella quale Dostoevskij si imbatte è quella romantica, che nonostante assista al fallimento dell’Illuminismo, ne approva l’ottimismo, anche se lo considera non più nella ragione, ma nel sentimento dell’uomo. Secondo i romantici è attraverso il sentimento che si attua l’incontro tra finito e infinito e gli uomini possono cogliere la pienezza della loro esistenza.
L’ultima corrente di pensiero che dobbiamo considerare è quella del naturalismo deterministico secondo cui l’uomo è definito solamente dalle sue condizioni materiali, viene ritenuto un insieme di materia, che attraverso l’evoluzione riuscirà ad arrivare alla sua liberazione. Secondo Dostoevskij queste concezioni pongono nei confronti dell’uomo come un muro di pietra che lo blocca e che non riesce ad oltrepassare. Per questo motivo l’autore russo critica, attraverso i suoi scritti, le teorie che emergono da tali correnti di pensiero. Nelle Memorie dal sottosuolo scrive infatti: <<Ma quale muro di pietra? Ma naturalmente le leggi di natura, le deduzioni delle scienze naturali, la matematica. Quando ti dimostrano, per esempio, che tu discendi dalla scimmia, beh, c’è poco da accigliarsi, devi accettare il fatto com’è. Se ti dimostrano che una sola goccia del tuo grasso dev’esserti più cara di centomila tuoi simili, e che in questa conclusione si risolvono alla fine tutte le cosiddette virtù, i doveri e tutte le altre chimere e pregiudizi, ebbene bisogna che accetti il risultato della dimostrazione, giacché non c’è niente da fare, due più due fa quattro, questa è matematica. Provatevi un po’ a replicare[1]>>.
Secondo Dostoevskij l’animo umano è immenso e non lo si può ricondurre alla semplice razionalità, sarebbe una riduzione semplicistica e inadeguata. Egli protesta contro questa concezione, perché dice che l’esistenza degli uomini è complessa ed enigmatica, quindi non si può avere la pretesa di condurla interamente sotto il controllo della ragione. Il sentimento che ha di sé lo porta a queste conclusioni. Egli è convinto che l’uomo non possa essere considerato come una semplice parte di un “macchinario razionale” e la convivenza tra gli uomini non debba essere ridotta ad un “formicaio brulicante”. Dostoevskij sostiene che la grandezza dell’uomo non consente di ridurre la sua esistenza ad una semplice misura razionalistica. Secondo l’autore russo è nella profondità dell’uomo che bisogna cercare il suo vero ed autentico significato. Egli introduce appunto la dimensione della profondità perché l’intelligenza euclidea, che si limitava a considerare lunghezza, larghezza ed altezza, non risultava essere in grado di comprendere la grandezza dell’esistenza umana. L’animo umano nella sua profondità è articolato e complesso e Dostoevskij decide di indagarlo. La natura umana, nella sua profondità, non può essere razionale; in ogni uomo vi è infatti l’esigenza della libertà sconfinata e senza limiti. È nella profondità dell’essere umano che ci imbattiamo nella questione della libertà e secondo Dostoevskij questa è l’esigenza ed il reale interesse della nostra esistenza. Egli intende protestare contro ogni corrente di pensiero che pretende di risolvere il problema dell’esistenza umana tramite il benessere universale; per fare ciò vuole porre all’attenzione il fatto che la natura dell’uomo risulta incommensurabile. Sempre nelle Memorie dal sottosuolo scrive: <<Ecco, io, per esempio, non mi stupirei affatto se all’improvviso, senza dire né a né ba, in mezzo alla futura, universale ragionevolezza, spuntasse fuori un gentleman con una fisionomia spregevole, o per meglio dire retrograda e beffarda, si mettesse le mani sui fianchi e dicesse a tutti noi: “Allora, signori, non è il caso, una buona volta, di prendere a calci tutta questa ragionevolezza, di mandarla in frantumi, unicamente con lo scopo di mandare al diavolo i logaritmi e di tornare a vivere secondo la nostra stupida volontà?”[2]>> Quindi per Dostoevskij il problema della libertà si trova nella profondità di ogni essere umano. Egli scrive anche che <<[…] l’uomo, sempre e ovunque, chiunque esso sia, ama agire come vuole e non come consigliano la ragione e l’interesse; perché si può volere anche ciò che è contrario al proprio vantaggio ma a volte è positivamente indispensabile (almeno così la penso io). La propria personale, libera, indipendente volontà, il proprio capriccio foss’anche il più grossolano, la propria fantasia a volte esasperata fino ai limiti dalla pazzia, ecco cos’è quel vantaggio più vantaggioso, trascurato, che non rientra in alcuna classificazione e per il quale tutti i sistemi e  le teorie se ne vanno costantemente al diavolo[3]>>. Egli considera vane tutte le teorie e le culture che intendono dare una spiegazione razionalistica dell’esistenza per il fatto che vi è la libertà. Sostiene infatti che l’uomo per salvaguardare la sua libertà sarebbe pronto a dire che il risultato dell’addizione due più due non è quattro, bensì cinque. Secondo Dostoevskij la libertà nell’esistenza umana può assumere differenti figure e ora cercheremo di presentare ed analizzare brevemente queste varie tipologie. Innanzitutto per Dostoevskij nell’esistenza umana la libertà si deve intendere come gioco. L’uomo infatti se vuole essere libero deve lanciare una sorta di sfida al destino, non può sottomettersi ad un’esistenza intesa come regola. La libertà porta l’uomo a mettere in gioco la sua vita, a rischiare. La sua esistenza non può più essere considerata come già determinata, ma risulta qualcosa di irrazionale, qualcosa per cui occorre mettersi in gioco. L’uomo non vuole essere controllato e tutelato da nessuno, vuole una libertà illimitata, non può accettare che altri prendano decisioni per conto suo e controllino la sua esistenza. Nel romanzo Il giocatore scrive infatti: <<Desidero soltanto chiarire l’infondatezza della supposizione per me offensiva, che io mi trovi sotto la tutela di qualcuno che potrebbe esercitare un potere su di me, limitando la mia libertà.[4]>>                                       Vi è poi la libertà intesa come trasgressione. L’uomo si domanda se per essere libero debba obbedire a delle leggi morali insite nell’animo. Raskolnikov, personaggio principale di  Delitto e castigo, si pone questo interrogativo: <<Io credo solo nel mio pensiero fondamentale. Esso consiste precisamente in ciò, che gli uomini, per legge di natura, si dividono, in generale, in due categorie: quella inferiore (gli uomini comuni), cioè, per dir così, il materiale che serve unicamente per la procreazione di altri esseri simili a sé, e gli uomini veri e propri, aventi cioè il dono o la capacità di dire nel loro ambiente una parola nuova. Le suddivisioni, s’intende, qui sono infinite, ma i tratti distintivi delle due categorie abbastanza netti: la prima categoria, cioè il materiale, generalmente parlando, sono uomini per natura loro conservatori, posati, che vivono nell’obbedienza e amano ubbidire. Secondo me, hanno anche l’obbligo di ubbidire, perché questa è la loro missione, e in ciò non v’è per loro proprio nulla di umiliante. Quelli della seconda categoria trasgrediscono tutti la legge, sono sovvertitori, o inclini a esserlo, a giudicare dalle loro attitudini.[5]>> Bisogna provare a comprendere se Raskolnikov possa oltrepassare il limite imposto agli uomini dalla legge morale che sembra bloccare e soffocare la libertà.  Raskolnikov decide di uccidere  la vecchia usuraia e, per un errore del suo piano d’azione, anche la sorella Lisaveta, per dimostrare che la sua libertà può abbattere e superare i limiti imposti dalla legge morale. Egli infatti sostiene di non aver ucciso una persona bensì un principio. Perpetrando il delitto della vecchia usuraia intendeva porsi al di là del bene e del male, ma non riuscirà nel suo intento. Dice infatti di aver voluto scavalcare la legge morale, ma di non esserci riuscito e di sentirsi come un pidocchio. Per Givone Raskolnikov è un esempio di uomo del sottosuolo: <<Se le cose stanno così, allora bisogna dire che l’anonimo uomo del sottosuolo avrà subito un nome, e questo nome sarà Raskol’nikov.[6]>> Nel suo profondo abita un’idea dotata di una forza micidiale. Egli vuole giustificare l’assassinio dicendo che l’ha perpetrato per fini superiori; sostiene che sia stato giusto uccidere la vecchia usuraia poiché la sua vita era inutile e dannosa per le altre persone e anche perché il denaro che le apparteneva poteva essere messo a disposizione di chi ne aveva più bisogno. Quest’idea di Raskolnikov intende far emergere l’uomo superiore, terribilmente diabolico, che era nascosto nel sottosuolo. Egli crede nella giustezza della sua idea, non prova nessun pentimento dopo aver ucciso l’usuraia perché sostiene di essere autorizzato. Raskolnikov non condanna se stesso, però nei suoi sogni gli è concessa la possibilità di riconoscere la profonda falsità che si nasconde nella sua persona e nelle sue teorie. La vicenda di Raskolnikov vuole mostrare gli esiti catastrofici a cui giunge la morale utilitaria. La libertà realizzata in questa maniera porta alla distruzione di sé e ad essere ridotti a infimi parassiti della vita.
Secondo Dostoevskij la libertà si realizza anche come rifiuto. Chi rappresenta questa figura della libertà è Ippolit, personaggio dell’opera dostevskijana l’Idiota. Egli è un giovane tisico giunto ormai agli ultimi momenti della sua vita. Ammette ogni cosa, la malattia, Dio, la vita eterna, ma si rifiuta di accettarle. La libertà, nel personaggio di Ippolit diventa luogo della riserva del proprio assenso. Ammette il fatto che ci sia la vita e che lui debba soffrire, ma dice anche che avrà sempre un sospetto ed una resistenza verso ciò che esiste. <<Egli non esclude affatto che dietro il feroce disordine della vita si celi una legge armonica di sviluppo; né esclude l’armonia finale del nascere e del morire, che si sprigioni dallo stesso contrasto come da una sua fonte inesauribile e si risolva già da sempre in conciliazione, visione, bellezza. Semplicemente, questa bellezza egli la rifiuta.[7]>> Sostiene che vuole difendere la sua libertà mantenendo la riserva della sua accettazione nei confronti di ciò che esiste.                                               
Arriviamo ora a presentare la libertà intesa come ribellione o rivolta. Rappresentante di questa tipologia di libertà è indiscutibilmente il personaggio di Ivàn Karamazov. Egli si domanda come l’uomo possa essere libero se esiste il male e in che modo questo possa essere accettato quando riguarda le creature innocenti. Ivàn dice di non poter accettare questo mondo. Ippolit, anche se non dava l’assenso, accettava questo mondo, mentre Ivàn espone una tesi più drastica in quanto dice di non poter accettare il mondo creato in questo modo da Dio. Secondo Givone uno dei momenti che scandiscono il nichilismo di Ivàn è la ribellione contro l’ordine metafisico che si manifesta attraverso la denuncia dello scandalo del male come dimostrazione dell’assurdità del mondo. <<Ciò che Ivan non accetta è di unirsi al coro; egli preferisce restare dalla parte della “sofferenza invendicata” – la sofferenza dei bambini, in particolare, spesso oggetto di sevizie gratuite e perverse – perché quella sofferenza non può e non deve servire ad essere piegata ad altro, sia pure a un’armonia che la fagociti in un’eternità di redenzione.[8]>>  Egli, con la sua intelligenza euclidea, non può accettare il male e non può accettare il fatto che questo possa servire per ottenere un bene futuro, un’armonia finale. Questa forma di ribellione conduce Ivàn a vedere nel padre Fëdor il simbolo di questa ingiustizia che non ha diritto e dignità di esistere. Egli così ispira al fratellastro Smerdjakov, un giovane con problemi psichici, l’assassinio del padre. La colpa di questo crimine viene attribuita all’altro fratello, Dimitrij. Durante il processo a Dimitrij, Ivàn  si alza in piedi e domanda se possa esistere qualcuno che non desideri la morte del proprio padre. Queste parole sono emblematiche in quanto Ivàn, che non accetta più questo mondo, sostiene che per rivendicare la loro libertà, gli uomini devono arrivare a negare chi ha creato tutto, quindi a negare Dio. La scomparsa di Dio vuole significare che ogni cosa è permessa all’uomo, così egli riuscirà a lottare con le sue forze contro il male senza più alcuna regola imposta, se non quella della propria libertà.                                                                                               Inoltre la libertà può essere intesa come puro arbitrio. La figura che rappresenta questa libertà nelle opere di Dostoevskij è Kirillov, un personaggio del romanzo I Demoni. Egli non crede più in Dio e sente la necessità di trovare un valore assoluto che lo possa sostituire. Questo valore assoluto lo individua nell’uomo stesso. Sostiene infatti che se Dio non c’è, allora l’uomo è Dio. Viene proposta quindi la teoria dell’uomo-Dio, l’umanità viene divinizzata. Egli dice che l’arbitrio è l’attributo fondamentale della divinità dell’uomo, la libertà illimitata è quindi indispensabile per l’uomo-Dio. <<La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura: l’uomo ama la vita, perché ama il dolore­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­ e la paura. Lo hanno fatto così. La vita viene concessa a prezzo di dolore e di paura, e qui sta tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo che dovrà essere. Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. Quello al quale sarà indifferente vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. E l’altro Dio non vi sarà più.[9]>> Per Kirillov l’uomo deve diventare indifferente alla morte e deve considerarla equivalente alla vita, solo in questo modo non avrà più paura di suicidarsi perché è riuscito a comprendere che né vita né morte contano davvero rispetto alla sua libertà. Kirillov arriva ad elaborare questa teoria drastica che lo porterà all’annullamento della propria persona. Per  trasformare l’umanità, la quale riesce ad ottenere la sua divinità ed è assolutamente libera attraverso l’arbitrio, ci si deve suicidare, perché solamente uccidendosi gli uomini superano ogni limite.
 Dobbiamo poi considerare anche la libertà come negazione. Questa tipologia viene rappresentata dal personaggio principale de I Demoni, ovvero Stavrogin. Nel romanzo è il tentatore per eccellenza, può essere inteso come il “serpente primordiale” che tenta tutta l’umanità. Egli vuole portare, attraverso le sue azioni e le sue tentazioni, tutti gli altri personaggi alla distruzione. Per Stavrogin non hanno più valore il bene ed il male, gli interessa solo l’essere o il non essere, la vita o la distruzione. Stavrogin si sente attratto dalle situazioni umilianti e ridicole perché in queste, oltre ad un grande sdegno, trova anche un incredibile piacere. Questo è dovuto al suo radicale indifferentismo etico, che ponendosi al di là del bene e del male, conduce la sua vita nella noia più terribile. La sua libertà, che non considera più il bene ed il male, lo conduce verso la noia e l’apatia che lo soffocano e lo distruggono portandolo al suicidio con il quale fa terminare nel nulla un’esistenza contrassegnata completamente dal nulla. Queste figure della libertà che ho cercato di presentare si consumano trasformandosi nel loro opposto. Berdjaev scrive che <<Dostoevskij mostra appunto questo tragico destino della libertà nel destino dei suoi eroi. La libertà trascende in arbitrio, in una ribelle autoaffermazione dell’uomo. La libertà diviene priva di contenuto, vana, essa svuota l’uomo. Priva di contenuto e vana è la libertà di Stavrogin e di Versilov, e la libertà di Svidrigailov e di Fёdor Pavlovic Karamazov dissolve la personalità. Porta al delitto la libertà di Raskol’nikov e di Ivan Karamazov. La libertà come arbitrio annienta se stessa, trapassa nel suo opposto, dissolve e perde l’uomo. Con un’interna fatalità immanente simile libertà porta alla schiavitù, dissolve l’immagine dell’uomo[10].>> La libertà diventa schiavitù e consuma l’esistenza umana quando l’uomo non accetta di riconoscere alcunché di più alto di sé. Infatti se non vi è nulla che sia superiore all’uomo, allora non c’è neppure l’uomo, se non sussiste alcun legame fra libertà umana e quella divina, allora non c’è nemmeno la libertà. Se ogni cosa è permessa agli uomini la libertà umana diventa schiavitù di sé. <<La libertà umana raggiunge la sua espressione definitiva nella libertà suprema che è libertà sulla Verità. Tale è la dialettica irrefutabile della libertà. Essa porta alla via del Dio-uomo. Nel concetto del Dio uomo la libertà umana si unisce a quella divina, l’immagine umana all’immagine divina. Con un’interiore esperienza della libertà si consegue la luce della Verità. Né può esservi ritorno al dominio esclusivo della legge esteriore, alla legge della necessità e della costrizione[11].>>
Dostoevskij sostiene che ci possa essere la libertà di scegliere il bene o il male e la libertà nel bene. Egli ritiene che non si possa imporre agli uomini il bene. Il bene non deve essere forzato, deve essere conseguenza della libertà. Il bene libero presuppone la libertà del male. <<La libertà del male porta alla distruzione della libertà stessa, alla degenerazione in una necessità cattiva. La negazione della libertà del male e l’affermazione dell’esclusiva libertà del bene porta pure alla negazione della libertà, alla degenerazione della libertà in una necessità buona. Ma la necessità buona non è più un bene, giacchè il bene presuppone la libertà[12].>> La Verità rende infatti l’uomo libero, ma la Verità deve essere accettata dall’uomo liberamente, non lo si può costringere o condurre con la forza ad essa. Cristo ha donato agli uomini la libertà, ma essi devono accettare Cristo in maniera libera. Questa accettazione libera rappresenta la dignità dell’uomo e del suo atto di fede ed è ciò che rende davvero liberi gli uomini. Questa però non è una strada semplice, passa attraverso le tenebre, lo sdoppiamento e la tragedia e porta l’uomo a conoscere il bene, ma anche il male. <<La via della libertà è la via dell’uomo nuovo del mondo cristiano. L’uomo dell’antichità classica e l’uomo dell’antico Oriente ignoravano questa libertà, erano inchiodati alla necessità, all’ordine naturale, sottomessi al fato. Solo il cristianesimo ha dato all’uomo questa libertà, la prima libertà e l’ultima. Nel cristianesimo si è rivelata non solo la libertà del secondo Adamo, apparsa una seconda volta nello spirito dell’uomo, ma anche la libertà del primo Adamo, non solo la libertà del bene, ma anche la libertà del male[13].>> Secondo Pareyson la concezione filosofica di Dostoevskij è tragica perché considera la vita dell’uomo sotto l’insegna della lotta tra bene e male, infatti: <<Il male non ha un’esistenza propria, ma ha un’esistenza necessariamente parassitaria, perché esso non può sussistere se non appoggiandosi alla realtà esistente, cioè alla realtà dell’uomo.[14]>> La strada che porta al bene conduce gli uomini alla possibilità di esperire anche il male. <<Questa dialettica tra bene e male si fonda sull’esperienza della libertà, infatti il male, il peccato, la colpa non sono l’incapacità umana di persistere e perseverare nel bene, ma sono l’instaurazione positiva di una realtà negativa, cioè il frutto d’una volontà diabolica intelligente e consapevole di se stessa, e la decisione di una libertà illimitata desiderosa di affermazione di là da ogni legge e da ogni norma. Il male è prodotto dalla volontà e dalla libertà dell’uomo, che scientemente e deliberatamente commette l’azione malvagia […][15]>> Anche il carattere dialettico del bene trova il suo vero significato attraverso l’esperienza della libertà. Il suo valore sta nella consapevolezza che il male è possibile e che non risulta, quindi, indispensabile per la sua realizzazione. <<Il male è la via tragica dell’uomo, il destino dell’uomo, la prova della libertà umana. Ma il male non è un momento necessario nell’evoluzione del bene.[16]>>
 La libertà presuppone l’infinito e per l’uomo del mondo cristiano l’infinito non è solo il caos, ma anche libertà, mentre secondo l’uomo dell’antichità classica l’infinito era solamente il caos. La libertà ribelle che Dostoevskij attribuisce ai suoi personaggi rappresenta un nuovo momento della storia dell’uomo nel mondo cristiano. L’autore russo intende passare da una comprensione del cristianesimo solamente astratta ad una più concreta. Egli intende indagare le profondità dell’animo umano perché solo così si può trovare la libertà dell’uomo cristiano. I personaggi dei romanzi di Dostoevskij conducono la loro esistenza sempre in bilico tra il bene ed il male, tutto è collegato alle scelte che sono chiamati a prendere liberamente. Essi si trovano sempre impegnati a risolvere situazioni problematiche e a riflettere su queste, vivono perennemente in una condizione di tensione dovuta alla presenza della libertà. La tensione della libertà è presente in ogni istante della loro esistenza, devono sempre fare i conti con questa.
 L’uomo per lo più non riesce a sostenere il dramma della libertà e a causa di questa tensione si sdoppia. Gli uomini non sono in grado di sopportare il peso delle decisioni per l’esistenza. Dostoevskij, attraverso i suoi personaggi, ci propone sia uno sdoppiamento psicologico, per esempio Raskolnikov che vede se stesso attraverso il sogno, sia uno sdoppiamento morale, come se un’altra persona si mettesse di fianco a noi e facesse, pensasse e desiderasse ciò che noi vorremmo, ma non possediamo la libertà morale di fare; ciò accade ad Ivàn Karamazov quando, in un incubo, incontra il demonio, che in realtà è se stesso, e questo demonio conduce alle estreme conseguenze ciò che la paura dell’esistenza impedisce a Ivàn di attuare. Dostoevskij era però anche convinto che senza la libertà del peccato e del male non può essere accettata l’armonia universale. Egli sostiene che la libertà dell’uomo deve essere preposta a questa armonia, non deve essere un’armonia forzata. L’uomo non può accogliere la libertà per il bene se proviene da un ordine o da una costrizione. L’armonia universale deve essere attuata dall’uomo attraverso la libertà del suo spirito, deve essere respinto ogni ordine forzato. <<Questa fede riposa sulla libertà della coscienza umana. “Il mio Osanna è passato attraverso il crogiolo dei dubbi”, scrive Dostoevskij di se stesso. E avrebbe voluto che ogni fede si temprasse nel crogiolo dei dubbi. Dostoevskij è stato, probabilmente, il difensore più appassionato della libertà di coscienza che il mondo cristiano abbia conosciuto[17].>> Dostoevskij considera la negazione della libertà dello spirito come una violenza perpetrata nei confronti della coscienza umana e questa rappresenta il principio dell’anticristo. Gli uomini devono trovare nella profondità del loro spirito la forza libera per riconoscere in Cristo il figlio di Dio. Questa libertà dello spirito umano è negata dagli uomini che hanno deciso di percorrere la strada dell’arbitrio. <<Chi ha intrapreso la strada dell’arbitrio e dell’autoaffermazione, chi ha diretto la sua libertà contro Dio, non può conservare la libertà, e fatalmente giunge a calpestarla[18].>> Per Dostoevskij il rapporto tra verità e libertà non si può sciogliere, in quanto la loro definizione implica il reciproco riferimento. La libertà arriva a distruggersi quando degenera in arbitrio e nega la verità dalla quale non si può separare. La libertà intesa come arbitrio senza limiti, che si rivolta contro Dio, conduce inesorabilmente ad un dispotismo illimitato, come era quello del Grande Inquisitore nella Leggenda. In questo modo vengono soppressi la verità di Cristo ed il senso della vita e lo spirito umano viene portato ad un totale asservimento. Gli uomini agiscono in questo modo perché non sono in grado di sostenere il fardello della libertà, preferiscono rinunciare ad essa e affidarsi ad un’organizzazione forzata della felicità nel mondo.
Dostoevskij era convinto che la vera libertà è possibile solamente in Cristo, mentre l’arbitrio e la pretesa di una felicità dell’umanità senza Dio portano alla distruzione della libertà e dello spirito degli uomini. L’autore russo sostiene che chi si allontana da Dio arriva inevitabilmente a negare la libertà perché <<La “mente euclidea” – espressione amata da Dostoevskij – è impotente a conseguire l’idea di libertà, questa le è inaccessibile, come mistero assolutamente irrazionale. La rivolta della “mente euclidea” contro Dio è legata con la negazione della libertà, con la sua incomprensione[19].>> Senza libertà intesa come mistero della creazione questo mondo colmo di dolore e sofferenza non può essere accettato e non può quindi essere accettato Dio in quanto suo creatore. Qui si mostra la tragedia della libertà ribelle che ha condotto l’uomo a negare la stessa idea di libertà e Dio. Si possono accettare Dio e questo mondo solamente se si considera la libertà in modo tale che non possa essere compresa razionalmente, come intende invece fare la ”mente euclidea”.  Solo ponendo questa libertà, che non può essere compresa tramite la ragione, come base del creato, si possono giustificare il male e la sofferenza che sono presenti in esso. Per ottenere un mondo buono e felice, senza male e dolore, si dovrebbe eliminare la libertà, ma in questo modo si priverebbe l’uomo ed il mondo della loro dignità. <<La “mente euclidea” potrebbe costruire il mondo fondandolo unicamente sulla necessità e questo sarebbe un mondo esclusivamente razionale. Tutto l’irrazionale ne sarebbe eliminato. Ma il mondo di Dio non ha un senso che si possa commisurare con la “mente euclidea”.[20]>> La “mente euclidea”, che aveva cominciato la sua ribellione a partire dalla libertà, intende terminare la sua azione costituendo un mondo fondato sulla necessità e sul dispotismo illimitato. <<La dialettica della necessità porta con sé l’eliminazione della distinzione fra il bene e il male, cioè l’indifferenza che incarna il tenebroso Stavrogin. Il demone scettico, amorale, non sente più il problema di Dio, anzi per la “tiepidezza” della sua anima dannata è destinato a essere rigettato dalla bocca di Dio. Egli, infatti, in quanto “tiepido”, è ugualmente lontano sia dall’ardore del credente che dalla freddezza dell’ateo. Costoro pur proponendo soluzioni diametralmente opposte, sentono entrambi il problema dell’esistenza di Dio. Consapevoli che tutta la loro vita dipenda da questo, scelgono tra il credere e il non credere in Lui[21].>> Secondo Dostoevskij, chi nega la libertà dello spirito arriva a negare anche Dio, perché un mondo necessariamente buono e felice, in cui vi è un’armonia forzata, risulta essere un mondo senza Dio, paragonabile ad un semplice meccanismo razionale.



[1] Fёdor Dostoevski , Memorie dal sottosuolo, RCS Libri S.p.A, Milano, 2000, p. 48
[2] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[3] Fёdor Dostoevskij, Op. cit., p. 43
[4] Fёdor Dostoevskij, Il giocatore, Garzanti, Milano, 2012, p. 56
[5] Fёdor Dostoevskij, Delitto e castigo,  BUR, Milano, 2010, p. 276
[6] Sergio Givone, Op. cit., p. 107
[7] Sergio Givone, Op cit., p. 79
[8] Sergio Givone, Op. cit., p. 142
[9] Fёdor Dostoevskij, I demoni, Einaudi, Torino, 2014, p. 220
[10] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[11] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 56
[12] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 57
[13] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 54
[14] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 58
[15] Luigi Pareyson, Op. cit., p. 153
[16]Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 71
[17] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 58
[18] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 62
[19] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 64
[20] Nikolaj Berdjaev, Op. cit., p. 65
[21] Francesca Volpe, Dostoevskij in Italia. Recenti interpretazioni, Edizioni Albo Versorio, Milano, 2011,  p. 94